Archivio | aprile, 2015

Arts&Crafts e la rivalutazione dell’artigianato

23 Apr

Nel XIX secolo l’Europa fu contraddistinta dal grande progresso scientifico e industriale che portò tra il 1830 e il 1870 alla Prima e Seconda Rivoluzione Industriale. Queste Rivoluzioni, il quale fulcro fu l’Inghilterra, porteranno il continente a una netta trasformazione sociale dentro e fuori dal continente europeo. L’economia dei paesi industrializzati,uscita dalla crisi della Grande Depressione del 1873, conoscerà una stagione di forte crescita produttiva, grazie a nuovi sostegni energetici e tecnologici. L’industria portò quindi un radicale cambiamento all’interno della società. All’interno delle fabbriche si cominciò ad applicare la razionalizzazione produttiva, fabbricando articoli in serie, facilitando così il flusso della produzione, utilizzando il lavoratore in modo più razionale così da accorciare il tempo di realizzazione di un prodotto e di conseguenza di abbassare vertiginosamente il prezzo.

Tessuto disegnato da William Morris, prodotto da Morris, Marshall, Faulkner & Co, 1873

Tessuto disegnato da William Morris, prodotto da Morris, Marshall, Faulkner & Co, 1873

La produzione in serie contribuì a introdurre sul mercato una gran quantità di nuovi beni a basso costo, favorendo così la nascita di vaste catene commerciali e grandi magazzini. Il grande magazzino fu un nuovo trionfo per la massa. Questo nuovo assetto si distingueva dal negozio al dettaglio tradizionale, che aveva radici nella bottega medioevale, presentando per la prima volta il prezzo esposto fisso, il reso della merce, l’ampiezza dell’assortimento. Un nuovo universo di prodotti accessibili, grazie alla produzione seriale delle nuove macchine industriali, dove gli operai si limitavano a una serie di gesti ripetitivi, producendo migliaia di oggetti uguali, senza la minima sbavatura o unicità. Ma questa facile accessibilità ai nuovi prodotti, non veniva sostenuta da tutti. Intellettuali e artisti sostenevano invece che all’incalzante industrializzazione, bisognasse riconsiderare l’importanza dell’artigianato, dando vita alla fine dell’800 al movimento Arts&Crafts.

Augustus Pugin, disegno, 1851.

Augustus Pugin, disegno, 1851.

Tra gli artisti sostenitori, William Morris, fu una delle figure cardine del movimento. Nato da una famiglia benestante, venne influenzato dalla bellezza medievale durante gli anni trascorsi ad Oxford. Il suo interesse per l’architettura gotica, lo portò inevitabilmente ad approcciarsi ai lavori di Augustus Pugin. Architetto e designer, fu il promotore del movimento Gothic Revival. Nato per reazione alla tradizione neoclassica, vedeva nella società gotica, una società esemplare. I lavori architettonici di Pugin si fondavano su due principi cardine: il primo voleva l’edificio gotico funzionale in tutte le sue parti; il secondo prevedeva che gli ornamenti dovessero essere un arricchimento della struttura essenziale dell’edificio. Una forte influenza ebbe questo movimento sull’Arts&Crafts dato, in primo luogo, dal grande valore stimato nell’artigianato e in secondo luogo, l’importanza della funzionalità e dello scopo oltre l’aspetto decorativo.

Nel 1851 alla prima Grande esposizione universale di Londra, venne esposto uno dei primi esempi di Gothic Revival , la Medieval Court exhibition. Dedicata interamente al XIII° e XIV° secolo, furono esposti ricami, vetri dipinti, argenterie e gioielli disegnati per lo più dallo stesso Pugin che ripercorrevano appunto l’epoca medievale. Influenzata da questo una nuova società, la Morris, Marshall and Faulkner &Co, fondata da William Morris nel 1861, mise in mostra all’esposizione seguente nel 1862, mobili e oggetti sempre collegati allo stile gotico, sotto gli insegnamenti di Pugin. Il risultato più importante che si evinse dall’esposizione era l’importanza che aveva per Morris, la qualità dei prodotti e la collaborazione tra artisti e artigiani.

Augustus Pugin, Collana e croce, 1843.  Disegno Augustus Pugin; Produzione: John Hardman & Co.

Augustus Pugin, Collana e croce, 1843.
Disegno Augustus Pugin; Produzione: John Hardman & Co.

Il movimento per vari aspetti fu collegato a un’altrettanto importante movimento, quello dei Preraffaelliti, del quale venivano condivisi alcuni ideali e soprattutto il rifiuto della cultura artistica dell’epoca. Spesso molti artisti del movimento preraffaellita venivano in contatto con Morris&Co. creando collaborazioni artistiche.

“Che cosa ci importa dell’arte, se non tutti possono condividerla?”

– William Morris

William Morris sosteneva che non era l’uomo che stava al servizio della macchina, come succedeva nella produzione in serie, ma doveva essere la macchina al servizio dell’uomo. I grandi valori dietro al movimento prevedevano il rifiuto dell’architettura classica e la rinascita dello stile gotico, l’arte per tutti e la nostalgia per l’era medievale vista come l’età d’oro di creatività e libertà. Il punto principale del movimento era l’uguaglianza tra artista e artigiano. L’arte, infatti, non doveva essere appannaggio di pochi, esposta sui muri di gallerie, apprezzata da una ristretta élite, ma doveva risultare disponibile e accessibile negli oggetti funzionali e pratici. Lo scopo principale della produzione artigiana, era di creare qualcosa di unico e di alta qualità che innalzasse il benessere della persona e della sua vita quotidiana. Era la creazione fatta a mano da parte dell’artigiano-artista, che dava carattere e “anima” all’oggetto. Per quelli che appoggiavano il movimento, l’imperfezione e l’irregolarità avevano gran valore, in confronto alla perfezione fredda e senza vita dei prodotti fatti dalla macchina.

Archibald Knox, Fibbia in argento e smalti. Collezione Cymric

Archibald Knox, Fibbia in argento e smalti. Collezione Cymric

Ma questo odio contro la macchina, porterà al fallimento dell’Arts&Crafts per vari motivi, come l’alto costo degli oggetti e dei gioielli rispetto a quelli prodotti industrialmente e il ristretto cerchio di clienti effettivi. La gente, infatti, voleva gioielli appariscenti a poco prezzo, resi accessibili alle tasche di molti grazie proprio alla meccanizzazione.

In questo clima di grande rivalutazione degli oggetti prodotti manualmente, il campo della gioielleria toccò i vertici della creatività. Spesso gli ideatori dei gioielli erano pittori o architetti. Tra le figure più importanti si possono ricordare C.R. Ashbee e Archibald Knox, che disegnarono gioielli per la produzione di  Arthur Lasenby Liberty. Quest’ultimo fondatore della Liberty&Co., portò a un livello superiore la produzione di gioielleria e oggetti.

Archibald Knox, Collana argento e smalti.

Archibald Knox, Collana argento e smalti.

Fedele alle linee dell’Arts&Crafts, Liberty, progredì nella produzione portando i disegni in fabbrica, combinando utilità e buon gusto con un prezzo modesto.

La sua fortuna fu il perfetto equilibrio tra arte e industria. Fra le collezioni più famose Archibald Knox disegnò la collezione Cymric. I gioielli per lo più in argento, erano spesso incastonati con turchesi imperfetti o con madreperla ondulata, ripercorrendo l’ideale dell’Arts&Crafts della bellezza dell’imperfezione.

I gioiellieri del movimento, che rifiutavano il progresso dell’industria, si ispirarono al mondo della natura, a flora e fauna. Creavano monili utilizzando pietre non tagliate, perle barocche, materiali naturali e smalti. I motivi più utilizzati comprendevano fiori stilizzati, ali, foglie e componenti d’argento finemente lavorati, combinati insieme per creare spille, anelli, collane, pendenti e braccialetti.

Purtroppo, come già citato, l’alto costo dei gioielli prodotti da questi artigiani, diminuiva il cerchio di personaggi che si poteva permettere di comprarli, venendo meno agli ideali di Morris per cui questi prodotti dovessero essere alla portata di molti.

Autore: Giulia Antonaz

Photo credit: design-is-fine.org; collections.vam.ac.uk; intense-life.com; tademagallery.com.

La grande varietà di temi che hanno ispirato i gioielli dell’epoca vittoriana

14 Apr

L’epoca vittoriana deve il suo nome alla regina Vittoria che fu incoronata nel 1837 sul trono d’Inghilterra. Il lungo regno, che si protrasse all’incirca per una sessantina d’anni, determinò un periodo di grande fasto e magnificenza per la Gran Bretagna nel campo delle arti, delle scoperte scientifiche e della moda, nonché una stabilità e una floridezza economica significative.Grazie all’interesse della sovrana per la moda e per i gioielli, gli stili si rinnovarono in maniera incessante e proposte innovative e bizzarre si affiancarono a soluzioni più tradizionali.

Parure con braccialetto, spilla e orecchini realizzata da Hancock in oro, corallo e smalto con pannelli figurativi di ispirazione assira. 1870

Parure con braccialetto, spilla e orecchini realizzata da Hancock in oro, corallo e smalto con pannelli
figurativi di ispirazione assira. 1870

Lo stile detto archeologico, favorito dagli scavi degli anni ’30, portò all’attenzione della regina fibulae romane, bullae etrusche, amuleti e croci greche; gli artigiani, pertanto, si impegnarono nella lavorazione di filigrane e granulazioni in oro per riprodurre modelli antichi. Approfittando di questa occasione, gli orafi tentarono di far sentire la loro voce e lottarono per ottenere maggiori diritti e riconoscimenti nel carpo dell’artigianato, scagliandosi contro la produzione industriale che spesso sacrificava la qualità in favore di prezzi più bassi.  Basti pensare al caso di Fortunato Pio Castellani, orafo romano che si adoperò per  portare avanti una tradizione manifatturiera che impiegasse tecniche antiche nella lavorazione dell’oro.

Anche altri scavi, quelli condotti, ad esempio, in Mesopotamia da Austen Henry Layard, fornirono nuove fonti d’ispirazione: le sculture colossali e le opere delle rovine assire di Nimrud e Ninive, furono in parte trasportate in Inghilterra, collocate e rese visitabili al British Museum . I pannelli figurativi dei portali e le decorazioni architettoniche divennero modelli da riprodurre in oro per la composizione di bracciali e spille.

Dalle espansioni coloniali, invece, in particolare dall’India, terra di cui la regina Vittoria divenne imperatrice nel 1876, giunsero altri motivi e spunti a cui attingere.

Revival Archeologico: gioielli Hancock nelle loro scatole originali. In basso, la spilla "Country Cavan" o "Queen's" ispirata alla spilla di Tara rinvenuta nel 1850.

Revival Archeologico: gioielli Hancock nelle loro scatole originali. In basso, la spilla “Country Cavan” o “Queen’s” ispirata alla spilla di Tara rinvenuta nel 1850.

Sempre durante i primi decenni del secolo, diventarono oggetto d’interesse per la moda  anche un certo  stile rinascimentale, fatto di abiti fluttuanti, diademi e ferronieres (nastri o catenelle con gioiello che si tendevano sulla fronte), i motivi naturalistici,  come spighe, bouquet, fiori e farfalle montati, en tremblant, anche su corsetti, così come un revival medievale  in chiave romantica: i temi cavallereschi e la celebrazione dell’amore eterno riproposero i famosi gioielli sentimentali con nodi, cuori, nastri e capelli intrecciati.

Il periodo successivo che si estende tra gli anni ’60 e gli anni ’80 dell’Ottocento, fu tutto un brulicare di nuove scoperte e nuove proposte nel campo dell’oreficeria: il ritrovamento di alcuni esemplari d’arte celtica, come la spilla di Tara, nel 1850 e gli scavi del 1860, condotti in Egitto, entusiasmarono gli orafi europei che misero in vendita una serie di repliche ottenute per fusione, presso le Esposizioni Universali di Londra e Parigi. L’esposizione universale londinese del 1862, invece, fu fondamentale per la presenza in Europa dell’arte tradizionale giapponese: i mastri armaioli di quel paese, specializzati nella lavorazione dei foderi (saya), delle guardie (tsuba) e dei cinturoni con metalli scuri intarsiati in oro e argento, cominciarono a produrre anche gioielli per l’esportazione, poiché nella loro patria non si usava indossarne.

Scottish Revival: spille vittoriane in argento del 1860 circa, con agate e ceramica jasper.

Scottish Revival: spille vittoriane in argento del 1860 circa, con agate e ceramica jasper.

Tornando alla Regina Vittoria, essa nutriva un profondo amore per la Scozia e per l’arte orafa scozzese, perciò  comparvero sul mercato anche motivi tradizionali come spille a cuore, pugnali, sporran(tipica borsa di pelliccia facente parte del costume nazionale) e disegni geometrici, ma anche riproduzioni di souvenirs come torri, arpe e trifogli provenienti, invece, dall’Irlanda.

Decisamente più curiosi, tuttavia, risultano gli elementi umoristici di cui anche la sovrana usava adornarsi: anche piccole riproduzioni di lanterne, ruote di carro, ferri di cavallo, elementi che proponevano scene di caccia o attività sportive diventarono i suoi soggetti preferiti.

Il tema zoomorfico, che inizialmente privilegiava repliche di insetti, piante acquatiche e uccellini sui nidi, in metallo prezioso o paste vitree, andò a sconfinare nel macabro:  ossa, artigli e denti, andavano a comporre trofei di caccia da appendere a collane ed orecchini.

Orecchini di Harry Emanuel con teste d'uccello, con occhi di vetro rosso, montate su base in oro. 1865, Victoria and Albert Museum.

Orecchini di Harry Emanuel con teste d’uccello, con occhi di vetro rosso, montate su base in oro. 1865, Victoria and Albert Museum.

Una profonda variazione nel gusto e nella moda inglese si percepì a partire dal 1861, anno in cui l’amato principe consorte Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, morì. La perdita gettò la regina in uno stato di profonda sofferenza durante il quale il nero divenne il colore dominante per abiti e gioielli. Per questo motivo cominciarono a diffondersi ornamenti in giaietto autentico (minerale d’origine vegetale simile al carbone, molto brillante e molto fragile, che veniva estratto nello Yorkshire vicino a Whitby), ma non solo. In Boemia, infatti, si producevano imitazioni del giaietto in vulcanite, una delle prima materie plastiche, mentre dalla Francia provenivano le riproduzioni in vetro nero, che poteva essere ben sfaccettato, il cui luccichio veniva incrementato dall’applicazione sul fondo di una lastra di acciaio rivestito di nero. La foggia dei gioielli reali influenzò il gusto degli inglesi.

Orecchini vittoriani del 1870 in giaietto. Victoria and Albert Museum

Orecchini vittoriani del 1870 in giaietto. Victoria and Albert Museum

Terminato il periodo di lutto strettissimo, la regina diede per l’ennesima volta una svolta alla moda, accantonando i gioielli funerei e ricominciando ad indossare monili dai toni tenui e perle.

L’amore per l’oro non tramontò e il metallo nobile rimase il materiale preferito e più indossato a corte.

Negli ultimi decenni del secolo, infine, fecero la loro comparsa anche i primi gioielli in materiale plastico: la parkesine, una soluzione di nitrato e cellulosa modellabile, e la celluloide, una materia madreperlacea alla vista, costituita da nitrocellulosa plastificata con canfora, inventata in America dai fratelli Hyatt nel 1869. Colorabile, ma tremendamente infiammabile, la celluloide ben si prestava all’imitazione dell’avorio, del corallo, dell’osso e delle perle e, grazie all’impiego dei sofisticati macchinari dell’American Celluloid Company, fondata nel 1871, venne prodotta meccanicamente, in grandi quantità e a basso costo.

Spilla con rametto di rose in metallo dorato e petali in celluloide color avorio. Firmata Krementz, fine '800.

Spilla con rametto di rose in metallo dorato e petali in celluloide color avorio. Firmata Krementz, fine ‘800.

Autore: Silvia Marcassa

Gioielli stile impero alla corte di Napoleone

11 Apr

Napoleone Bonaparte, uno tra i più famosi personaggi storici, viene considerato il più abile stratega e amministratore che la Francia abbia mai avuto. Con la ferma convinzione di trasformare la nazione in un impero, ricalcante le antiche glorie di Grecia e Roma, si impegnò con diverse campagne militari e riformando l’amministrazione francese. Istituì il suo famoso Codex Civili,tuttora in uso in Francia , influenzando molti altri paesi, dove l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge o l’abolizione del feudalesimo, erano per la prima volta concepiti come elementi fondamentali per la formazione di un grande paese.

L'incoronazione di Napoleone, Jacques-Louis David, 1805-1807, Musée du Louvre di Parigi.

L’incoronazione di Napoleone, Jacques-Louis David, 1805-1807, Musée du Louvre di Parigi.

La Francia conobbe con Napoleone un periodo di cambiamento culturale. Il neoclassicismo, che stava prendendo piede in Europa in contrasto con l’abbondante e pittoresca ornamentazione Rococò, richiedeva un’esigenza di semplicità e austerità formale. Sviluppatosi tra il XVIII ed il XIX secolo , anche grazie al contributo dello storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann, il neoclassicismo prestò attenzione ai nuovi scavi archeologici di Pompei e venne influenzato dalle arti antiche greca e romana. Lo stile neoclassicista, riprendeva le linee classiche come simbolo di perfezione, ragione e bellezza ideale. In questo periodo post-rivoluzionario l’arte classica era portatrice di serenità, tranquillità e felicità.

Tiara per l'Incoronazione di Giuseppina Bonaparte , 1804

Tiara per l’Incoronazione di Giuseppina Bonaparte , 1804

Winckelmann, in particolare, sosteneva il modello dell’arte classica greca come ideale del bello eterno. E l’eternità come concetto piaceva molto a Napoleone. Infatti il piccolo uomo corso, utilizzerà le arti neoclassiche a sua uso e piacere, per rendere grande la sua immagine, simbolo di potere e ricchezza. Utilizzò lo stile antico a scopo celebrativo. Il principale esponente di questa esaltazione artistica fu Jacques Louis David, che nutriva grande rispetto per Napoleone Bonaparte, fu nominato da Napoleone stesso “primo pittore” di corte. Si vede in dipinti come il Primo Console supera le Alpi al Gran San Bernardo, La distribuzione della aquile o la più famosa Incoronazione di Napoleone, la magnificenza delle linee, delle proporzioni, dell’armonia della scena, esprimono, il potere, la forza, la sovranità del nuovo Imperatore del primo Impero Francese. David stesso provava grande rispetto per Napoleone. Lui stesso affermò davanti ai suoi allievi: “È un uomo al quale si sarebbero innalzati altari nell’antichità, si, amici miei, Bonaparte è il mio eroe”.

Etienne Nitot, Parure da matrimonio di Maria Luisa d'Asburgo-Lorena, Arciduchessa di Austria, 1810

Etienne Nitot, Parure da matrimonio di Maria Luisa d’Asburgo-Lorena, Arciduchessa di Austria, 1810

Certo è che Napoleone usò l’arte e anche la stampa come elemento propagandistico, a suo vantaggio, utilizzando censura da una parte e visibilità artistica dall’altra. L’imperatore doveva farsi vedere in tutta la sua gloria.

Con la consacrazione del Impero nel 1804, la corte divenne il centro delle mode, e l’Imperatore e sua moglie Giuseppina, i maggiori esponenti.
Giuseppina, particolarmente, dettava legge per quanto riguardava l’abbigliamento, ispirandosi all’abbigliamento degli antichi greci e romani, che prendette il nome di stile impero.
La corte divenne il luogo dove si rifletteva la ricchezza del nuovo Impero e del nuovo sovrano. Le feste diedero un nuovo impulso a molti settori dell’artigianato.
Napoleone proibì l’importazione di tessuti dall’Oriente, favorendo

Collana e orecchini dell'Imperatrice Maria-Luisa, François-Regnault Nitot, 1810, Musée du Louvre di Parigi.

Collana e orecchini dell’Imperatrice Maria-Luisa, François-Regnault Nitot, 1810, Musée du Louvre di Parigi.

l’espansione della produzione di seta lionese. Grazie a Giuseppina Bonaparte le elaborazioni di merletti, ricami, piume ed altri oggetti di lusso. In particolare l’arte orafa, ebbe nuova linfa.

Specialmente i gioielli che sopravvissero dell’Ancien Régime, vennero messi a disposizione di Napoleone, che li ritualizzò per i regalia della sua incoronazione e dell’imperatrice sua moglie del 2 dicembre 1804, e altri gioielli. Delle pietre preziose perdurate, vennero utilizzate anche per la creazione della collana per la nascita del figlio, Re di Roma, della seconda moglie di Napoleone, Maria Luisa d’Asburgo-Lorena.

Anche l’oreficeria come le altre arti, riprese le linee classiche dell’antichità. Gli ornamenti erano sobri ed eleganti. Venivano impiegate pietre preziose e non, molto colorate, che risaltavano sui tessuti degli abiti chiari. I mutamenti nelle fogge durante lo stile impero permisero agli orafi di creare piccole opere d’arte inedite. La pelle messa in evidenza, grazie alle generose scollature, delle ricche signore, faceva da sfondo a queste creazioni preziose.

Sempre più diffusa e divenuta simbolo dell’oreficeria imperiale, fu la parure.
Solitamente composta da collana, braccialetti, orecchini a pendente, fibbia, pettinino per capelli e tiara, era indossata nella grandi occasioni a corte.

Ritratto di Paolina Bonaparte, R. Lefevre, 1810, Museé National du Chateau de Versailles

Ritratto di Paolina Bonaparte, R. Lefevre, 1810, Museé National du Chateau de Versailles

Famosa rimane la parure di Maria Luisa d’Asburgo- Lorena, seconda moglie di Napoleone, per il suo matrimonio nel 1810.
La parure era composta da collana, orecchini pendenti, diadema, un pettine e una fibbia per cintura tutti in smeraldi, diamanti e oro.

Ad oggi, integri sono rimasti, la collana e gli orecchini, conservati al Louvre; il diadema, smantellato per ricreare nuovi pezzi di gioielleria, la forma originaria viene conservata allo Smithsonian Institution, alla quale furono sostituiti gli smeraldi con dei turchesi. Idea della magnificenza della parure si evince dal disegno di Etienne Nitot, incaricato della creazione.

Etienne Nitot, allievo del gioielliere di corte di Maria Antonietta, Auber, fu gioielliere egli stesso durante l’impero di Napoleone. Uscito senza gravi danni dalla Rivoluzione, aiutato dal figlio Francois Regnault, diventò gioielliere capo nel 1802 di Napoleone della prima e della seconda moglie, i quali furono molto affezionati alla sua bravura e alle sue creazioni. Napoleone gli affidò, tra i tanti gioielli, anche il disegno e la realizzazione della corona per la proclamazione ad Imperatore nel 1804. Chiamata la Corona di Carlomagno, composta in oro e camei antichi e moderni, ricreò il simbolo del potere, del grande monarca medievale, Re dei Franchi, confidando nella creazione di un grande e immortale impero.

Autore: Giulia Antonaz

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FER DE BERLIN, czyli jak żelazo zyskało większą wartość od złota

8 Apr

Biżuteria pełni ważną – symboliczną, czy też czysto ozdobną – rolę w życiu człowieka już od epoki antyku. Mogła być wyznaniem miłości, oznaką statusu w społeczeństwie lub reprezentować władze. Jedno było pewne – im bardziej kosztowne jej wykonanie, „tym lepiej”, tym bardziej pożądana i tym więcej ludzie byli w stanie za nią oddać. Jak więc wytłumaczyć zdumiewające wydarzenie z historii pruskiej z roku 1813,  w którym to wśród kobiet i mężczyzn modny stal się slogan Złoto dałam/dałem za żelazo?  Aby zrozumieć ewenement wyrobów biżuteryjnych z żelaza, przyćmiewających sławę złota w XIX wieku, należy poznać bliżej historię pierwszych hut i odlewni żeliwa w Polsce, z których to pochodząca biżuteria żeliwna, stała się oznaką głębokiego patriotyzmu.

Property of F D Gallery

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W latach 70. XVIII w. na terench Śląska powstały huty i odlewnie żelaza, które rozpoczęły wykorzystywanie koksu do opalania pieca hutniczego. Jednak nowością (w pierwszym pruskim zakładzie, tzn. hucie gliwickiej otworzonej ok. 1796  r. i w kolejnym, powstałym w Berlinie), która nas bardziej zainteresuje, było odkrycie nowego zastosowania żeliwa – do produkcji wyrobów dekoracyjnych. Wieść o żelaznych ozdobach rozeszła się na tyle szybko, że już około 1806 r. pojawili się pierwsi jubilerzy (Johann Conrad Geiß, a za nim Siméon Pierre Devaranne), zainteresowani wyrobem biżuterii, już nie złotej, tylko nowej, przez to modernej – żelaznej.  Była ona pierwotnie odlewana właśnie w hutach państwowych, ale z czasem, stała się tak popularna, że Geiß zdecydował się na otwarcie własnego zakładu – państwowe odlewnie przestały po prostu nadążać za jego zamówieniami. Fer de Berlin czy fonte di Berlinó – tak wlasnie opisywano nowoczesną biżuterię – zaczęły się także interesować znane osobistości, takie jak np. sławny architekt i artysta niemiecki – Karl Friedrich Schinkel. Przy pomocy konkurenta Geißa, Devaranne (a konkretnie dzięki jego kontaktom w stolicach Europy Paryżu i Londynie), o ozdobach żeliwnych usłyszano także poza granicami pruskimi (liczba przedsiębiorstw zaczęła się zwiększać z roku na rok). Dodatkowym powodem, który przyczynił się do niezwyklej popularności biżuterii żelaznej, była z pewnością rola, jaką odegrała na scenie politycznej na początku XIX wieku.

W roku 1813, podczas wojny wyzwoleńczej, która miala powstrzymać  Napoleona przed kolejnymi podbojami i doprowadzić do wyzwolenia Prusów spod władzy francuskiej – został wydany przez księżniczkę Hessen-Homburg apel z prośba o oddanie kosztownej biżuterii – w celu dofinansowania armii antyfrancuskiej. W zamian za błyszczące datki, kobiety, a później także meżczyźni, otrzymywali skromną, żelazną biżuterię. W związku ze wspomnianą kampanią powstała nawet specjalnie na tą okazję biżuteria z wygrawerowanym napisem – Gold gab ich für Eisen („Złoto dałam za żelazo”).  Ta oto, w ten sposób, zyskała walor patriotyczny oraz socjalistyczny i w paradoksalny sposób – na tego, kto nosił „żelazo” spoglądano z szacunkiem – jako na walczącego za ojczyznę, natomist tych, którzy nadal świecili się złotem i srebrem, omijano wzrokiem. Kolejnym ważnym czynnikiem, który pomogł żelazu w uzyskaniu popularności równej złotu czy też kamieniom szlachetnym, było ustanowienie przez króla Prus Fryderyka Wilhelma III odznaczenia wojskowego za ofiarność w walce wyzwoleńczej z 1813 r., którym to stał się Krzyż Żelazny odlewany właśnie w żeliwie (projektu współpracownika Geißa, już wcześniej przez nas wspomnianego, C. F. Schinkla).  Ten krzyż został później reaktywowany podczas I wojny światowej, co ukazuje jeszcze lepiej nobilitację nowego materiału, jakim było żelazo. Motyw żelaznej biżuteri otrzymywanej w zamian za złoto – jako symbol wspomagania ojczyzny – odnajdujemy także w innych dziedzinach, tj. na scenie (Emmerich Kálmán skomponował operetkę opisujacą to wydarzenie), oraz w literaturze (w 1933 r. Margarethe Pauly napisała powieść pod tytułem pt. Gold gab ich für Eisen).

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Warto także przejrzeć się bliżej wykonaniu biżuterii żeliwnej. Wszystko rozpoczynało się przetapianiem surówki żelaza w żeliwniakach (tzn. piecach hutniczych), które znajdowały się w odlewniach. Następnie przechodzono do sztuki odlewnictwa, która polegała na zalewaniu przygotowanej już formy, poprzednio stopionym materiałem – w tym przypadku stopem żelaza z węglem – i kolejnie na kontrolowaniu krzepniecia tak, aby otrzymac wyrób o preferowanej konsystencji. Ok. roku 1830 rozpoczęto używanie formy wykonanej w drobnoziarnistym piasku odlewniczym, którą można było znaleźć tylko w odlewniach pruskich. Technika odlewania została udoskonalona także o zapobieganie rdzy, poprzez zastosowanie cieniutkiej warstwy pokostu lnianego. Kolejnym ulepszeniem było złocenie (szczególnie wewnętrznych) płaszczyzn biżuterii, po to, aby żelazo nie reagowało ze skórą. Była to „podwojna wygrana”, ponieważ pozłacane elementy idealnie komponowały się z głęboką, matową czernią żelaza i tylko nadawały mu niesamowitej wytworności i szyku. Jeśli chodzi o kanon form, w których były odlewane elementy biżuterii, to odpowiadał on ówczesnej modzie – wśród motytów można było spotkać ornamenty z epoki antyku odpowiadające modnemu wówczas neoklasycyzmowi (takie jak akanty, palmety czy tez klon okrąglolistny) czy też elementy budowlane (zaczerpnięte z szerokiej gamy gotyckich elementów architektonicznych, tzn. nawiązujace do neogetyku). Po roku 1820 repertuar powiększono o nowe elementy – pochodzące z mitologii rzymskiej nimfy, gracje i amory.  Do wyboru motywów dołączyły szybko także te zaczerpniente ze stylu Biedermeier (róże i bukiety kwiatów), czyli śmialo można powiedzieć, że w kolekcjach biżuterii żeliwnej, każdy mogł znaleźć coś dla siebie.

Rozkwit biżuterii żeliwnej przypadł na lata 1815-1840. Fer de Berlin i fonte di Berlinó – tak właśnie nazywano żelazne „błyskotki”, które z czasem można było kupić już nie tylko w Gliwicach czy Berlinie, ale także w kolejnych sklepach we Wroclawiu oraz w stolicach mody takich jak Paryż czy Londyn. Dzięki wspomaganiu produkcji przez króla pruskiego, biżuteria z żelaza odznaczała się najlepsza jakościa materiału oraz zastosowaniem filigranowych elementów ozdobnych i w ten sposób pojawiła się także na najpopularniejszych salonach. Kolejnym krokiem w historii żeliwa ozdobnego, była produkcja galenterii (tj. przedmiotów używanych na co dzień). Były to ozdoby takie jak plakietki, statuetki, medaliony, kandelabry, wizytowniki, stojaki na zegarki kieszonkowe, chrzcielnice czy tez nawet meble – wszystko to, podobnie jak biżuteria, było zgodne z panujacymi wówczas trendami.

W roku 1848, po tragedii Wiosny Ludów na ktorej ucierpały niestety także odlewnie, pracownicy zakładów hutniczych nie byli w stanie odnaleźć wiekszości utraconych modeli i dokumentów. Dodatkowo fakt, że wzrastała coraz szybciej konkurencja na rynku odlewniczym oraz została wynaleziona łatwiejsza technika – odlewania brązu – berliński zakałd chylił się ku upadkowi, co zaskutkowało ostatecznym zamknieciem odlewni w 1874 roku. Produkcja biżuterii żeliwnej, znikała powoli ze sceny, wraz jej wygasającym mottem patriotycznym. W latach 20. XX w. próbowano wznowic produkcję żeliwnych ozdób, ale jako, że zmienił się kontekst historyczny i z pewnościa także moda, fenomen z pierwszej połowy XIX w. już się nie powtórzył.

W XXI w. żeliwne ozdoby spotkamy przede wszystkim na wystawach w museum – w tym np. w Märisches Museum w Berlinie czy tez Victoria and Albert Museum w Londynie. Motywy wykorzystywane przy produkcji biżuterii żeliwnej są interpretowane do dzisiaj (przykładowo przez berlińską projektantkę biżuterii Bettinę Fehmel), ale już ubrane w inny, bardziej „na czasie” materiał – silikon. W niektórych niemieckich lub londyńskich antykwariatach jeszcze teraz można znaleźć oryginalne żeliwne kolie i bransoletki, z jedną przestrogą – należy za nie zapłacić od…..1000 do 12 000 euro. Jeśli chodzi o przedmioty codziennego użytku, to jeszcze u nie jednego niemieckiego kupca, w sklepie z antykami (np. w Monachium czy Hamburgu) stoi zakurzona statua, stoł czy krzesła wykonane z żeliwa. Trzeba się niestety liczyc z tym, że cena także w tym przypadku jest dosyć wysoka.

Symbol oddania za ojczyzne, przykład na to, ze wszystko co w modzie się sprzeda lub też najlepsza interpretacja żelaznych czasów, jaką można tylko znaleźć – sukces biżuteria żelazna zawdzięcza pewnie wszystkim tym powodom. Jedno jest pewne – niepowtarzalna precyzyjność i kunszt wykonania, zastosowanie oryginalnego, nowego materiału i matowy kolor, który z gracją „przebił” błysk szlachetnego złota – to wystarczjące powody, aby ozdoby żeliwne zyskały swój osobny, choćby krótki, rozdział w historii biżuterii.

Author: Sonia Pytkowska

Art Noveau, gioielli per esteti

3 Apr
Alphonse_Mucha, Donna con orecchini, 1900

Alphonse Mucha, Donna con orecchini, 1900

Occorre che l’arte penetri dappertutto, che porti nel più umile oggetto il suo marchio e il suo fascino, orni tutte le forme materiali dell’esistenza.

Così veniva scritto nel 1902 nella rivista Arte decorativa e moderna e con queste parole si può sintetizzare lo spirito che pervade le creazioni dell’Art Noveau, movimento artistico che interessa le arti figurative, l’architettura e le arti applicate all’industria in Europa e negli Stati Uniti tra il 1890 e la Prima Guerra Mondiale. Con l’Art Nouveau, in concomitanza a una nuova fioritura delle arti applicate, nasceranno i grandi nomi della gioielleria: Lalique, Fouquet, Cartier, Bulgari, tra gli altri. Come mai prima nella storia, i gioielli diventano vere e proprie creazioni artistiche, oltre che di alto artigianato, in simbiosi con il movimento inglese delle Arts and Crafts di William Morris il quale, denunciando la mediocrità della produzione industriale, lancia un’appassionata difesa dell’artigianato come recupero del “valore estetico” degli oggetti. L’obiettivo utopistico è rinnovare la società attraverso l’artigianato. “La bellezza salverà il mondo”, afferma nel 1868 il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij: Morris era convinto sostenitore che la Bellezza avrebbe consentito a uomini e donne di ogni provenienza e ceto sociale di raggiungere il più alto grado morale, una sorta di “democrazia” della bellezza, dunque, come portatrice di alti valori morali.

L’obiettivo, per quanto nobile, si rivela purtroppo illusorio: l’oggetto d’artigianato sostenuto come salvaguardia della qualità e varietà creativa inevitabilmente si scontra con una realtà economica figlia della modernità raggiunta, in cui il “prezioso” corrisponde al “costoso”.

Altro stimolo alla rinascita della gioielleria come di tutte le arti applicate è il clima simbolista che permea la cultura europea di fine Ottocento.

Gustave Moreau, L'apparizione, 1876

Gustave Moreau, L’apparizione, 1876

Col volto raccolto, solenne, quasi augusto, ella comincia la lubrica danza che deve risvegliare i sensi assopiti del vecchio Erode; i seni le ondeggiano e, al contatto delle collane agitate, le loro punte si ergono; sul madore della pelle, i diamanti aderenti scintillano; i braccialetti, le cinture, gli anelli sprizzano faville; sulla veste trionfale, intessuta di perle, ricamata d’argento, laminata d’oro, la corazza delle oreficerie di cui ogni maglia è una gemma, entra in combustione, intreccia serpenti di fuoco, fa formicolare sulla carne opaca, sulla pelle rosa tea, quasi degli splendidi insetti dalle elitre sfolgoranti, venate di carminio, punteggiate di giallo aurora, screziate di azzurra acciaio, tigrate di verde pavone.

(Joris-Karl Huysmans, À rebours, 1884 – Descrizione de L’apparizione di Gustave Moreau)

Per gli artisti, i poeti e gli intellettuali simbolisti è fondamentale abolire ogni confine di memoria vasariana tra arti “maggiori” (pittura, scultura e architettura) e “minori” (artigianato, arti applicate) per fare dell’arte un’esperienza estetica e totalizzante.

Il gusto Art Nouveau tra 1895 e 1914 si diffonde rapidamente in tutta Europa, rivoluzionando la pittura e la grafica come l’architettura e le arti decorative. La gioielleria trova piena realizzazione, prestandosi, per la malleabilità dei materiali e le dimensioni ridotte, a sperimentazioni ardite e raffinate degli artisti-artigiani. Sono perlopiù gli artisti parigini a realizzare le produzioni più originali.

Reneè Lalique, Uccelli, pendente, 1898

Reneè Lalique, pendente a tema Uccelli, 1898

René Lalique, il più noto creatore di gioielli dell’epoca, lega il suo nome e la sua fama oltre che alla sua abilità alla figura della grande attrice contemporanea Sarah Bernhardt, per la quale realizzò numerosi monili.

Secondo Lalique il valore dei materiali usati è irrilevante, ciò che conta è il risultato finale, la “forma”; nei suoi lavori, quindi, possiamo veder convivere materiali preziosi con altri meno nobili quali, ad esempio, il vetro. L’opera di Lalique trae ispirazione, in particolar modo, dalla natura e dall’arte giapponese, molto in voga in quel periodo. I temi naturalistici sono ricorrenti nei suoi gioielli: animali, pesci, piante e, soprattutto, insetti. Oltre alla raffinatezza nella scelta dei materiali (oro, smalto e gemme) e alla pregiata esecuzione, è da notare che in molti suoi gioielli vi sono parti mobili: geniale espediente che permette al gioiello di spostarsi assieme al corpo della persona che la indossa.

Reneé Lalique, spilla a libellula (1897-1898)

Reneé Lalique, spilla a libellula, 1897-1898

L’esempio più noto dell’opera di Lalique e del suo sodalizio con la Bernhardt è una spilla per corpetto a forma di libellula dalle cui mandibole aperte esce il dorso di una donna che, in luogo delle braccia, ha grandi ali in plique à jour.nSpesso, e come nel caso di questo gioiello, il naturalismo di gusto Art Noveau attinge a piene mani da un immaginario erotico che rimanda alla figura della femme fatal alla Salomè di Moreau.

Sarah Bernhardt

Sarah Bernhardt

Altro importante gioielliere parigino fu Georges Fouquet, a lungo collaboratore del celeberrimo disegnatore di manifesti Art Noveau Alpons Mucha.

Reneé Lalique, pendente testa di ragazza incorniciata da papaveri (1898-1899)

Reneé Lalique, pendente testa di ragazza incorniciata da papaveri, 1898-1899

Insieme i due artisti realizzano seducenti e sfarzose parures de tete et de corsage, preziose acconciature sistemate sul capo e nel busto con pietre a cabochon, smalti, pendenti, gruppi tintinnanti di ciondoli appesi a catenelle, volti femminili scolpiti nell’avorio, piastre e catene di fogge diverse, ottenendo grande successo alle Esposizioni universali di Parigi (1900), Liegi (1905) e Milano (1906). Si tratta perlopiù di gioielli ispirati a modelli indiani dell’antichità, sognati con la sensibilità del raffinato contemplatore esteta fin de siècle.

Georges Fouquet, pendente a tema La nascita di Venere, 1900 ca.

Georges Fouquet, pendente a tema La nascita di Venere, 1900 ca.

Gli effetti della moda Art Nouveau si avvertono fino all’alba della Grande Guerra anche in altri paesi europei, fino a scemare, vittima di un certo accademismo manierato. In Italia a ereditare il gusto Art Noveau e l’utopia delle Arts and Crafts è, tra le altre, la Società bolognese Aemilia Ars, fondata nel 1898, col proposito di creare un rinnovamento nel campo delle arti applicate. Alfonso Rubbiani, il suo fondatore, parte dell’osservazione delle forme dell’arte medievale più goticheggiante e crea una commistione con la natura, dando forma a ornati vegetali e figure zoomorfe di impronta squisitamente liberty e preraffaellita. Aemilia Ars avrà un’influenza non trascurabile sul clima culturale bolognese e in particolare su artisti come Achille Casanova, Alfredo Tartarini, Giuseppe Romagnoli, che parteciparono all’attività artistica della società.

Augusto Majani Nasica, copertina della rivista Bologna che dorme, anno 2, n. 2 - 12 gennaio 1899

Augusto Majani Nasica, copertina della rivista Bologna che dorme, anno 2, n. 2 – 12 gennaio 1899

Con il dissolversi del gusto Art Noveau e in generale dell’estetica modernista sembrano spegnersi anche la speranza di una rinascita delle arti applicate e le utopie protoromantiche del XIX secolo, preparando la strada alle avanguardie che caratterizzeranno il XX secolo.

Autore: Lara De Lena

Photo credit: en.wikipedia.org; http://www.storiaememoriadibologna.it;

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Il micromosaico nei gioielli del gran tour

3 Apr

L’ambra di Sicilia ha questo di diverso dalla nostra che, dal colore di cera e di miele, trasparente ed opaco, passa attraverso tutte le sfumature di un giallo carico fino al più bel rosso giacinto.

Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia (Catania, giovedì 3 maggio 1787)

Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Goethe nella campagna romana, 1787, Francoforte

Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Goethe nella campagna romana, 1787

L’espressione “Grand Tour” venne utilizzata per la prima volta da Richard Lassels nel 1698 nella sua opera An Italian Voyage. I primi intellettuali a riscoprire il viaggio d’istruzione come tappa fondamentale nella formazione dei giovani furono gli inglesi, ispirati dalle pagine di Of Travel di Francis Bacon.

Durante questi viaggi, che duravano mesi e a volte anni, i giovani aristocratici approfondivano le loro conoscenze in ambito politico, artistico e culturale in giro per l’Europa, in particolare in Italia (attratti perlopiù dai ritrovamenti degli scavi archeologici di Ercolano e Pompei, oltre che dal fascino della capitale), Francia e Grecia. I viaggiatori, da artisti a letterati, da filosofi a mercanti erano in maggior parte britannici, seguiti da francesi, nord europei e russi.

Il periodo d’oro dei Grand Tour parte dalla conclusione della Guerra dei Sette anni (1756-1763), scemando nel travagliato periodo della Rivoluzione Francese (1789-1799) e della campagna d’Italia del giovane Bonaparte (1796). A partire dal XIX secolo il Grand Tour divenne alla moda anche per le giovani donne, che spesso intraprendevano un viaggio in Italia accompagnate dalla zia nubile in qualità di chaperon.

I Grand Tour del XVIII secolo, anticipatori di un gusto estetico del paesaggio di natura romantica e pre-simbolista,  hanno lasciato varie testimonianze nella cultura del nostro tempo. Viaggio in Italia (Italienische Reise), resoconto di un viaggio compiuto tra il 1786 e il 1788, fu scritto da Goethe tra il 1813 e il 1817. Altrettanto famoso Camera con vista (A Room with a View), film del 1986 diretto da James Ivory e interpretato, tra gli altri, da Daniel Day Lewis e Judi Dench, tratto dall’omonimo romanzo di Forster, vincitore di tre premi Oscar.

Paesaggio realizzato con la tecnica del micromosaico, XVIII sec., Ravenna

Paesaggio realizzato con la tecnica del micromosaico, XVIII sec.

Negli anni di maggiore diffusione dei Grand Tour, diventa protagonista nella produzione e diffusione delle vedute più celebri ricercate dai viaggiatori stranieri l’arte del micromosaico (o mosaico minuto) la cui fama e diffusione si affianca a quella delle arti grafiche, in particolare della litografia. I viaggiatori stranieri erano costantemente alla ricerca di immagini particolari che sapessero testimoniare il compimento del viaggio; fu così che gli artisti mosaicisti italiani si dimostrarono subito pronti a soddisfare il desiderio del mercato.

Per la nascita del genere furono necessarie le nuove scoperte di artisti mosaicisti quali Giacomo Raffaelli e Cesare Aguatti, i quali osservarono come, scaldando gli smalti o le paste vitree a temperature molto alte (circa 800 gradi), questi si trasformassero in sostanze filanti malleabili e adatte a realizzare stecche lunghe e sottili dalle quali ricavare, poi, le piccole tessere all’incirca delle dimensioni di un millimetro. Apripista furono in particolare i mosaicisti dello Studio Vaticano che, dopo aver completato la decorazione musiva per la Basilica di San Pietro, percepirono le potenzialità commerciali di una tecnica che poteva realizzare splendide vedute in oggetti di piccolo formato, preziosi ma facilmente trasportabili quindi incredibilmente appetibili al desideroso popolo di aristocratici e acculturati turisti.

Paesaggio realizzato con la tecnica del micromosaico, XVIII sec., Ravenna

Paesaggio realizzato con la tecnica del micromosaico, XVIII sec.

Accostando tessere piccolissime e riempiendo con smalti colorati gli spazi rimanenti, gli artisti diffusero soprattutto a Roma oggetti realizzati in micromosaico come scatole, tabacchiere, gioielli e quadri. Le dimensioni davvero piccole delle tessere giungevano quasi a celare la vera natura della tecnica fondendosi l’un l’altra alla vista e sembrando fini pitture. I temi sono soprattutto i resti antichi, le vedute e i monumenti più noti, la campagna e il suo folclore, a cui si unirono i temi floreali dei mosaicisti fiorentini.

Tavolino in noce decorato in micromosaico, XVII sec.

Tavolino in noce decorato in micromosaico, XVII sec.

Fiori su sfondo rosso,mosaico fiorentino, XIX sec., Firenze.

Fiori su sfondo rosso,mosaico fiorentino, XIX sec.

Ben presto la Capitale si riempì di botteghe dedite alla tecnica del micromosaico che, oltre agli studi vaticani, erano dislocate nella zona di piazza di Spagna e nelle vie adiacenti, le più frequentate dagli stranieri. Impiegato per vari decenni, il micromosaico si adattò di volta in volta all’estetica dominante e al gusto corrente rinnovando periodicamente il proprio stile espressivo.

A partire da XIX secolo la tecnica del micromosaico dovette fare i conti con gli ampi costi e i lunghi tempi necessari alla sua realizzazione, venendo inevitabilmente messa da parte, vittima della volubilità della moda, per ritrovare nuova attenzione in età contemporanea, in cui, insieme alla tecnica più tradizionale del mosaico, torna a essere utilizzato dagli artisti contemporanei.

Laura Carraro, La Memoria, Parco dell’arte Altrememorie, Val Saisera

Laura Carraro, La Memoria, Parco dell’arte Altrememorie, Val Saisera

Mohamed Chabarik

Mohamed Chabarik, L’Attualità, Parco dell’arte Altrememorie, Val Saisiera

Un esempio molto interessante è in tal senso il lavoro di Laura Carraro e Mohamed Chabarik, ideatori del paesaggio diffuso del progetto “1914 – 2014 Altrememorie”, dedicato al paesaggio evocativo della Grande Guerra. Si tratta di una sorta di Grand Tour contemporaneo in cui sculture in mosaico immerse nella natura friulana, al confine tra l’Italia e la Slovenia, raccontano una storia lunga cento anni che si snoda tra la memoria della guerra passata, il desiderio di raccontare la pace proprio dove è la guerra ad avere tante storie da narrare e la riflessione sui confitti ancora in corso.

Autore: Lara De Lena

Photo credit: www.artearti.nethttp://www.artribune.com/; http://it.wikipedia.org/

Il gioiello nei ritratti fiamminghi

1 Apr
Jan e Hubert van Eyck, Polittico dell'agnello mistico (particolare), 1426 -1432, Gand

Jan e Hubert van Eyck, Polittico dell’agnello mistico (particolare), 1426 -1432, Gand

Nella storia dell’arte molte opere si presentano ai nostri occhi come una sfavillante vetrina di gemme e pietre preziose: perle, diamanti, topazi, lapislazzuli, cammei, alabastri e altre meraviglie compaiono in molte tele rivestendo spesso sottili significati simbolici. Troviamo un grande repertorio di monili nella pittura fiamminga, proveniente dalla Borgogna ducale nelle Fiandre, che alla fine del secolo XIV e nella prima metà del XV conosce la pienezza della sua vita artistica e culturale.

Nelle immagini sacre della tradizione tardogotica borgognona, la valenza è molto iconica e allegorica, il gioiello è dunque il simbolo della preziosità e rarità della fede; nelle immagini di corte, invece, si assiste a un vero e proprio ritratto di costume, attraverso l’uso degli ornamenti si può risalire al gusto, agli usi e alle trasformazioni sociali di quegli anni.

Hans Holbein il Giovane, Ritratto di Jane Seymour, 1537

Hans Holbein il Giovane, Ritratto di Jane Seymour, 1537

Nei pittori fiamminghi il quadro è uno specchio della natura in cui ogni particolare è accostato all’altro con cura e sapienza in un minuto lavoro di osservazione e fedele riproduzione; così quindi anche per i gioielli rappresentati è possibile osservare la resa pittorica fortemente realistica dell’oro e delle gemme più preziose. I personaggi dei ritratti fiamminghi si distaccano dal fondo e prendono forma e volume, ruotando verso chi guarda, come in dialogo; il gioiello risplende quindi in tutta la sua minuziosa e preziosa fattura, come se fosse li, reale, davanti ai nostri occhi, pronto per essere indossato. Una dirompente carica di sensualità ed erotismo stravolge, sconvolge e rinnova gli sfarzi della gotica pittura borgognona: i gioielli non più come simbolo della potenza divina ma come esaltazione della bellezza terrena.

Petrus Christus, Ritratto di giovane donna, 1460-1470

Petrus Christus, Ritratto di giovane donna, 1460-1470

Il rapporto fra gioiello e pittura, in quest’epoca per i fiamminghi fu molto stretto e ravvicinato: pittori e scultori erano soliti fare pratica nelle botteghe degli orafi per ricavare abilità e raffinatezza tecnica. I rapporti di interscambio erano stretti e molteplici, l’accuratezza del dettaglio nella rappresentazione del gioiello era in alcuni casi dovuta proprio alla “sapienza del mestiere”: i fratelli van Eyck, ad esempio, furono abili orafi e miniaturisti. Scopriamo quindi che il grandissimo artista Jan van Eyck (Maaseik, 1390 circa – Bruges, 1441), oltre ad essere celeberrimo per la resa analitica della realtà e per aver introdotto in Europa la tecnica della pittura a olio (che sostituì l’uso del colore a tempera), era uso anche intagliare diamanti e incastonare pietre.

Peter Paul Rubens, Ritratto di Eleonora Gonzaga all’età di tre anni (part.), 1601 ca.

Peter Paul Rubens, Ritratto di Eleonora Gonzaga all’età di tre anni (part.), 1601 ca.

Uccelli, animali esotici e mostri fantastici sono i soggetti principali delle opere di oreficeria del primo Cinquecento. La scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, avvenuta alla fine del XV secolo, ha permesso l’arrivo in Europa di motivi decorativi fino a quel momento inesistenti, ereditati dalla cultura inca e azteca. Le novità passando per la Spagna, giungono anche in Italia (soprattutto per mezzo dei grandi mecenati), dove si fondono con la tradizione figurativa greco-romana. Oltre all’utilizzo di un’iconografia favolosa, questi gioielli sono caratterizzati da una sontuosa commistione di materiali. Ori, smalti, perle e pietre preziose si presentavano nello stesso monile.

Si riteneva che questi oggetti d’oreficeria, spesso ispirati da immagine diffuse tramite libri stampati, avessero dei poteri magici. Un esempio è il Ritratto di Eleonora Gonzaga all’età di tre anni, del pittore Peter Paul Rubens (Siegen, 1577 – Anversa, 1640), realizzato nel 1601, in cui compare un singolare gioiello, un pendente con una scimmia, che simboleggia prosperità e protezione dalle malattie, grazie ai rametti appuntiti che avevano la capacità di deviare l’influsso malefico.

Tra le diverse connotazioni simboliche della scimmia, essa può essere interpretata anche come una allegoria della pittura e della scultura: l’arte, come la scimmia, copia gli atteggiamenti degli uomini, fedelmente, divenendo specchio della realtà. La scimmietta di Eleonora Gonzaga è inoltre collegata anche alla vezzosità della damina, che amava specchiarsi. Uno specchio sembra apparire nella mano destra della scimmia per rappresentare un peccato combattuto nelle bambine e nelle donne: la vanità.

Johannes  Vermeer, Ragazza con turbante (o Ragazza con perla all'orecchio), 1665 ca.

Johannes Vermeer, Ragazza con turbante (o Ragazza con perla all’orecchio), 1665 ca.

Non è possibile, infine, non citare tra i nordici il pittore olandese Jan Vermeer (Delft, 1632 – 1675) e la sua celeberrima opera Ragazza con turbante, dipinta nel 1665 e famosa come Ragazza con l’orecchino di perla proprio in virtù della potenza scenica e sensuale del gioiello indossato.

Il pittore, a lungo sottovalutato dalla critica, deve la sua rivalutazione al critico Jean-Louis Vaudoyer, che gli dedica una serie di articoli in cui rivendica l’uso “nutriente” che fa del colore, capace di risvegliare una sorta di “appetito sensuale” perché scava nella materia più profonda, dando consistenza reale e sanguigna alle immagini rappresentate. L’opera deve invece perlopiù la sua fortuna mediatica ai due libri che ha ispirato, La ragazza col turbante della scrittrice Marta Morazzoni, edito nel 1986 e La ragazza con l’orecchino di perla del 1999 della scrittrice Tracy Chevalier. Da quest’ultimo romanzo è stato realizzato nel 2003 l’omonimo film interpretato da Scarlett Johansson, che ne ha consacrato definitivamente la fama. Si tratta di un ritratto di giovane donna in stile tronien, tipo di ritratto in costume storico/esotico di personaggi biblici, mitici o semplicemente antichi; la giovane è “dipinta alla moda turca”, per via del turbante indossato, che le regala un alone ancora più misterioso ed esotico.

L’orecchino con perla del quadro, che cattura quasi da solo la centralità della luce di cui è pervaso il dipinto, è di grandi dimensioni ed è a forma di goccia. Sebbene la ragazza che lo indossa appaia di modeste condizioni, tale monile era al tempo di Vermeer prerogativa delle dame aristocratiche dell’alta borghesia, come rappresenta lo stesso artista in un’opera appena più tarda, La padrona e la serva.

Johannes  Vermeer, La padrona e la serva, 1667 ca.

Johannes Vermeer, La padrona e la serva, 1667 ca.

Nel XVII secolo le perle, importate dall’estremo oriente, erano una preziosa rarità. Nate dal mare, prodotte dal mollusco all’interno dell’ostrica per proteggersi da piccoli elementi come granelli di sabbia, le perle sono tra i gioielli più eleganti e femminili, il cui fascino era ben noto anche agli antichi: le nobildonne romane reputavano la perla il gioiello più elegante e raffinato, e pare che la regina Cleopatra possedesse le due perle più grandi del mondo. Un’antica leggenda araba racconta che le perle sono gocce di luna cadute nel mare per adornare la bellezza femminile. Presso gli antichi greci, la perla era il gioiello di Afrodite, dunque simbolo d’amore, ed era il gioiello preferito da Polinnia, la Musa addetta agli inni, ai canti e all’eloquenza.

Inoltre, si credeva che la perla avesse poteri magici e taumaturgici, che fosse afrodisiaca, che rendesse la pelle bianca e luminosa e che avesse un effetto calmante sull’umore e lenitivo per i dolori di stomaco; per questo, in base ad un’usanza dalle origini molto antiche e mantenuta tra le classi più elevate fino al XVIII secolo, veniva bevuta disciolta nell’aceto.

La leggenda secondo cui le perle “portino lacrime” risale al Medioevo: ancora oggi, si usa “pagare” con una monetina simbolica chi ci dona le perle, che in questo modo diventano acquistate, spezzando così il maleficio.

Oggi come ieri, le perle continuano a conservare il loro fascino di “figlie del mare” e a tramandare un valore simbolico di pegno d’amore e di innata eleganza senza tempo.

Autore: Lara De Lena

photo credit: http://it.wikipedia.org/; www.italianopera.orgPierluigi De Vecchi, Elda Cerchiari, Arte nel tempo, vol 2 – Tomo 1 e 2, Milano, Bompiani, 1991; Carlo Bertelli, Antonio Briganti, Carlo Giuliani, Storia dell’arte italiana, vol 3, Milano, Electa/Mondadori, 1990

La rinascita del gioiello francese dopo gli sconvolgimenti della Rivoluzione

1 Apr

Per tutto il ‘700 i Francesi avevano dettato legge nel campo della moda sia che si trattasse di abbigliamento sia di gioielli.    Tra il 1748 e il 1750, però, gli scavi condotti ad Ercolano, Pompei, Roma e Tivoli avevano riportato alla luce il patrimonio romano rimasto sepolto, incrementando i Grands Tours, soprattutto in Italia, e ripristinato la grandezza e la magnificenza delle forme classiche che diventarono i soggetti privilegiati di tutte le arti, comprese quelle orafe.

La predilezione per i canoni classici e il conseguente abbandono delle forme naturali che ormai erano diventate identificative del barocco, ricco di linee contorte, di esagerazioni prospettiche, di stranezze e di deformazione, portarono  un rinnovamento anche nella produzione del gioiello. Si cominciò, infatti, a prediligere gioielli ispirati alle iconografie classiche (come i cammei Jasperware di Josiah Wedgewood), alle forme architettoniche greco-romane, i quali, benché elaborati, adottarono linee più semplici, geometriche e discrete.

Pendente in oro con perle e paste di vetro del 1775-1800. Londra, Victoria and Albert Museum

Pendente in oro con perle e paste di vetro del 1775-1800.
Londra, Victoria and Albert Museum

In questo periodo ebbero una certa fortuna anche i gioielli costituiti da piccole teche contenenti ciocche intrecciate di capelli dei propri cari e cartigli con messaggi d’amore: i cosiddetti gioielli sentimentali. Questi venivano indossati assieme ai gioielli in strass, la cui produzione non si esaurì affatto, anzi, venne incrementata. Solo a Parigi, nel 1767 esistevano la bellezza di 314 gioiellieri specializzati lavorazione di pietre false e nella imitazione di gioielli autentici . Essi, ormai, non contraddistinguevano più una categoria sociale che doveva accontentarsi di gioielli d’imitazione per mancanza di mezzi economici, ma venivano apprezzati da  tutti i ceti. Accanto alle maggiori città francesi e inglesi, anche Venezia si aggiudicò un posto di rilevanza nel commercio delle pietre false, grazie alla produzione di cristalli turchesi.

Con lo scoppio della rivoluzione francese, nel 1789, i gioielli sfoggiati con fierezza fino a quel momento, diventarono una delle principali cause di persecuzione: un gioiello importante era simbolo di nobiltà e di appartenenza alla corte e questo era un motivo sufficiente per guadagnarsi una sentenza di decapitazione.  Fu per questo motivo che sono rimasti oggi rari esemplari dell’epoca prenapoleonica poiché i nobili, per aver salva la pelle, dovettero vendere i loro gioielli, consegnarli alla causa rivoluzionaria oppure nasconderli.  Durante l’epoca del Terrore, dunque, gli unici gioielli concessi erano quelli patriottici, con iscrizioni ed incisioni di busti di eroi rivoluzionari, affatto raffinati e composti di materiali poveri e grezzi come il ferro e frammenti di pietra della Bastiglia. Alcuni gioiellieri per fronteggiare la crisi finanziaria e la mancanza di materiali, tentarono di tenere in piedi una certa produzione di gioielli più fini e leggeri, ispirati ai monili tradizionali della Francia contadina, utilizzando filigrana, piccole perle e pietre modeste.

Al termine della Rivoluzione, ricomparve l’ostentazione del lusso in chiave neoclassica con un parziale recupero di soluzioni proposte nel periodo prerivoluzionario e con nuove proposte. Nel 1797 fu riaperta la Società Parigina degli Orafi (soppressa nel 1791) che si impegnò della creazione di strumenti di identificazione per i metalli preziosi, stabilendo anche i gradi di purezza dell’oro per salvaguardare il nome della categoria dei gioiellieri ed aiutare gli acquirenti ad evitare raggiri e furti.

Abito in stile direttorio (ma più conosciuto come "stile impero") con ampia scollatura e taglio appena sotto il seno.

Abito in stile direttorio (identificato, solitamente, come “stile impero”) con ampia scollatura e taglio appena sotto il seno.

Tra il 1792 e il 1804 si impose lo stile Direttorio che affondava le sue radici nella cultura neoclassica. Obbedivano alla nuova foggia i pezzi d’arredamento e le decorazioni d’interni, ma soprattutto l’abbigliamento, le acconciature e gli ornamenti. Gli abiti, infatti, cominciarono ad ispirarsi alle tuniche svolazzanti, spesso semi-trasparenti, di derivazione greca, con il punto vita spostato appena sotto il seno; le vesti avevano ampie scollature e spacchi che offrivano la possibilità di indossare i gioielli anche in altre zone del corpo: tempestati di strass, si avviluppavano infatti a caviglie, cosce e polpacci .

Le acconciature, raccolte in chignon con dei riccioli che ricadevano sul viso, erano arricchite da spilloni floreali e da diademi ricchi di brillanti.

Ricomparvero anche i cammei, in particolare quelli della ditta Wedgewood, la cui produzione incessante ispirò anche le fabbriche di Serves, in Francia o di Meissen in Germania che passò, grazie al contributo dello scultore francese Michel-Victor Acier, da proposte ancora legate ai temi rococò a quelle di ispirazione neoclassica, con cammei di finissima porcellana.

Pendente con miniatura smaltata su rame. Gervase Spencer 1775. Victoria and Albert Museum.

Pendente con miniatura smaltata su rame. Gervase Spencer, 1775. Victoria and Albert Museum.

Tornarono di moda, infine, anche i gioielli sentimentali (indossati indifferentemente da uomini e donne) sia sotto forma di teche contenenti trecce di capelli, sia come cammei di porcellana dipinti con mezzi busti dei propri cari o dettagli ingranditi del viso, spesso corredati, sul retro, da dediche incise. Anche l’iconografia classica, tuttavia, forniva diversi soggetti: putti con nastri e cuori, fiaccole ardenti, e colombe in volo.  I pendenti potevano essere modellati a forma di cuore, chiave o lucchetto per simboleggiare il legame tra due persone. Gli anelli, tra i gioielli più apprezzati, erano caratterizzati da pietre per lo più ovali o rettangolari e piatte, a volte incise, o formati da una fascia di metallo sagomata in foggia di mani che si stringono, oppure da semplici fasce identiche indossate da entrambi gli elementi della coppia.

Ciondolo con un cupido sbalzato e dedica. Inghilterra, inizio'700 - Victoria and Albert Museum.

Ciondolo con un cupido sbalzato e dedica. Inghilterra, inizio ‘700 – Victoria and Albert Museum.

Anello in oro con corniola incisa del primi dell'800.

Anello in oro con corniola incisa dei primi dell’800.

Autore: Silvia Marcassa