Archivio | giugno, 2017

“Metal Code” : sfilano i nuovi talenti della Next Fashion school di Carla Secoli

21 Giu

FLYER_NEXT2017.jpgSempre più le case produttrici di moda richiedono creatività e qualità dalle nuove generazioni, ma la dote molto più ambita è una preparazione tecnica adeguata, che tenga conto della preziosa eredità di una tradizione sartoriale italiana senza eguali, delle potenzialità delle materie prime, di tecniche evolutesi attraverso secoli di storia della moda e dell’artigianato. Solo da qui si possono formare le basi per puntare al futuro, alla ricerca e all’innovazione e queste conoscenze si acquisiscono solo attraverso seri corsi di formazione, condotti da docenti altamente qualificati.
argento.jpgIl messaggio che mi è arrivato dai 67 outfit degli allievi della Next Fashion School di Carla Secoli, che hanno sfilato allo Studio40 del Centergross il 9 giugno, è quello di una buona preparazione tecnica su diversi tipi di materiali, modellati con sapiente manualità artigianale, uniti da una buona creatività e portabilità.
E c’era da aspettarselo, visto che questa scuola vanta qualcosa come un’origine risalente al 1934, tre sedi, diversi corsi con argomenti altamente performanti, suddivisi in quattro aree di specializzazione: stile, modellistica, tecnica, grafica.
La sfilata dedicata ai metalli, ha visto cimentarsi 38 giovani stilisti con outfit molto diversi tra loro, che spaziavano dal caldo riflesso evocativo del rame, alla ricca potenza celebrativa dell’oro, al freddo luccichìo dell’argento modellato in forme spaziali futuristiche; il tutto sotto il patrocinio della Città Metropolitana di Bologna, il CNA e la Piattaforma Sistema Formativo Moda.oro
L’evento, organizzato dalla MStudio, ha visto la collaborazione con tre brand storici: Daniele Ancarani per le calzature, i cosmetici di Catrice e Tricologica, marchio leader in Italia nei servizi professionali di bellezza in salone.
Nei prossimi giorni pubblicherò qualche specifica tecnica sugli outfit e i loro creatori.

Autore: Silvia Fini

Fiori esotici e fiocchi nei gioielli del Barocco europeo

16 Giu

All’inizio del XVII secolo si assiste al declino dell’influsso spagnolo sulla vita delle corti europee e al contemporaneo emergere dell’egemonia stilistica francese. Intorno al 1630 la moda trasforma gli abiti in vaporose vesti generosamente scollate con maniche rigonfie, mentre le capigliature, lasciate scendere sulle spalle in morbidi boccoli appaiono agghindate in forme meno austere. Sono costantemente presenti le perle, che apparentemente soppiantano quasi del tutto altri ornamenti, almeno per un breve periodo. Si intende inoltre ad enfatizzare le gemme, disposte in modo simmetrico e astratto, in sostituzione delle figure scolpite e smaltate preferite nelle precedenti montature.

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fig.1. Incisone da un disegno di Jean Toutin. V&A Museum

L’ispirazione è spesso dettata dalla botanica, in particolare quando è associata alle nuove tecniche d’uso dello smalto. La tecnica per dipingere a smalto in vari colori sull’oro viene sviluppata nei primi decenni del secolo da Jean Toutin (1578-1644), originario di Chateaudun e perdurò fino alla fine del ‘600. Egli, come altri orafi francesi, eseguiva disegni preparatori, che venivano poi diffusi nel resto d’Europa tramite incisioni, tuttora conservate presso i più importanti musei di arti applicate. Fig.1-2

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Fig.2. Incisione da un disegno di Jean Toutin. V&A Museum

Lo strato iniziale era in genere bianco opaco, azzurro chiaro o nero e in molti pezzi si riscontra in fatti solo questa combinazione cromatica, ma i pittori su smalto più abili ottenevano comunque con un’ampia tavolozza cromatica e sottili pennellate, delicati fiori, paesaggi e scene religiose o allegoriche. Le casse e i quadranti degli orologi si prestavano in particolar modo a questo trattamento e venivano quindi decorati sia all’esterno che all’interno. Talvolta la parte anteriore del gioiello era decorata a smalto e con diamanti, ma più spesso la smaltatura era impiegata per la parte posteriore, più adatta in quanto la montatura chiusa sul retro forniva una superficie piatta.

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fig.3. Pendente con cassa smaltata di Jean Toutin. V&A Museum

Le principali tecniche impiegate per la realizzazione di questi pezzi in smalto, in stile “Cosse-de-pois”, erano il “email en ronde bosse” e il “champlevé”. Fig. 3
Lo studio della botanica e i fiori esotici che cominciano ad arrivare in Europa suscitano grande curiosità e interesse da parte delle classi abbienti e diventano fonte di ispirazione per artisti e artigiani. L’osservazione approfondita delle piante venne quindi applicata anche alla pittura e alle arti decorative, tendenza che perdurò fino alla seconda metà del XVII secolo. Questa passione ha lasciato splendide tracce nei tulipani, gigli, rose e fritillarie, incisi o dipinti con smalti policromi su medaglioni, miniature, casse di orologi e sul retro dei gioielli. I fiori sono un tema costante nelle incisione e nei libri, provenienti soprattutto dalla Francia e dalla Germania, che riproducono i modelli dell’arte orafa e ci permettono di ricostruire cronologicamente l’emergere di particolari tendenze, giacché gran parte dei gioielli dei secoli XVII e XVIII è andata perduta.

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fig.4. Pendente in oro, argento e granati. Spagna, fine ‘600. Collezione Silvia Fini

In Spagna i motivi barocchi provenienti dalla Francia stentano ad affermarsi: negli ornamenti persiste infatti l’ispirazione religiosa con pendenti, croci, reliquiari o simboli dell’inquisizione o dell’ordine di Santiago. Fig. 4-5

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fig. 5. Retro del pendente (fig.4) smaltato su oro

Questi gioielli venivano indossati sia dagli uomini che dalle donne, come anche complesse e lunghe catene indossate su una spalla e in diagonale sul petto, di moda fin dalla seconda metà del XVI secolo. Finalmente poco prima del 1700, si diffonde lo stile barocco, che verrà apprezzato per un altro secolo.
Il fiocco è uno dei motivi più diffusi nella gioielleria barocca e deriva forse dai nastri con i quali un tempo si fissavano i gioielli. Nei ritratti eseguiti dalla metà del secolo appaiono spesso montati sopra pendenti, spille e orecchini. In genere sono decorati con pietre tagliate a tavoletta o a rosetta sulla parte anteriore e con smalto dipinto sulla parte posteriore. Fig.6

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Fig.6. Disegno preparatorio per due oendenti: uno a croce con decorazione floreale e l’altro a fiocco. XVII secolo. V.& A. Museum

I modelli di spille a fiocco con le cocche particolarmente appuntite e rivolte in basso divennero noti con la denominazione di Sévigné, in riferimento alla scrittrice francese Madame de Sévigné. Fig. 7 I fiocchi spiccavano anche nelle collane a nastro e nei braccialetti realizzati con nodi d’oro smaltato.

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Fig.7. Madame de Sévigné (1626-1696) ritratta da Claude Lefèbvre (1637-1675)

Verso la fine del secolo si diffuse la moda delle cosiddette Brandenburg, lunghe spille orizzontali, analoghe alle Sévigné, ma con una disposizione più compatta delle pietre e una forma più allungata lateralmente. Spesso si indossavano insieme varie spille coordinate, disposte lungo il corpetto in ordine di dimensione.

Autore: Silvia Fini
Articolo pubblicato su:
l’Informatore Europeo d’Arte e di Antiquariato

“Race Style” l’eleganza del primo Novecento all’Arcoveggio di Bologna

7 Giu

Si è da poco concluso il 70° Gran Premio della Repubblica all’Ippodromo Arcoveggio, che quest’anno festeggia il suo 85° anniversario.

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Greta Gualandi Miss Arcoveggio 2017. Foto Silvio Petri

Per celebrare degnamente questa giornata importantissima per lo sport, il mio staff ed io abbiamo organizzato una sfilata di moda vintage, che è culminata con l’elezione di Miss Arcoveggio 2017.
Nove modelle giovanissime, in elaborate acconciature realizzate da Hela Hablani, si sono avvicendate in passerella incantando l’élite bolognese, circondate da auto d’epoca.

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Hela Hablani e Silvia Fini

Gli abiti e gli accessori, tutti rigorosamente originali, spaziavano dallo stile geometrico degli anni ‘20 al floreale degli anni ‘70 e meritano sicuramente un’attenta analisi.
Il primo abito, il più antico della collezione, è in tipico stile decò, databile tra il 1925 e il 1929.  In questo periodo la moda femminile cambiò radicalmente: prima della Prima Guerra Mondiale si

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Gaia Ciampaglia.
Abito anni ‘20 in seta con applicazioni in pizzo a tombolo anni ‘20
Make-up: Anna Coppola
Foto: Nicola Dalmo

indossavano bustini con stecche di balena per modellare il corpo in una esagerata forma a clessidra, tessuti pesanti dai colori spenti venivano impiegati per confezionare lunghe ed elaborate gonne con lo strascico, oppure bluse ornate di pizzo abbottonate fino al collo. A partire dagli anni ‘20, le giovani donne si ribellarono a questa eleganza costrittiva, lanciando un look moderno molto giovanile, allungato e aggressivo. Per enfatizzare la snellezza serpentina del corpo, vennero lanciati abiti sciolti e dal taglio diritto, le curve femminili erano rifiutate in favore di una silhouette più lineare, quasi da ragazzo. Lo stile alla maschietta abbinava il suo look adolescenziale con l’esposizione senza precedenti di ampie zone del corpo: gli orli delle gonne si sollevarono fin sotto il ginocchio, i vestiti erano spesso senza maniche e profondamente scollati, davanti o sulla schiena. La nuova moda era non solo un semplice capriccio, ma una necessaria evoluzione dovuta ad un’esistenza molto più attiva, libera e varia rispetto a quella degli anni precedenti: durante la guerra la donna aveva guidato treni, lavorato nelle fabbriche e nelle fattorie, e visto una generazione di uomini decimata dal conflitto.

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Coroncina di Miss Arcoveggio, con cristalli swarovski bianchi in pavé. Francia, XIX secolo.
Collezione Silvia Fini

Era semplicemente impossibile tornare alla femminilità timida e frivola, il mondo aveva perso la sua innocenza, e la fiducia prebellica in un’esistenza prevedibile e bene organizzata se n’era andata per sempre. Già prima della guerra le donne avevano oltrepassato numericamente gli uomini, ma nel 1920, in Europa la sproporzione era tale che il matrimonio non era più visto come unico traguardo e le donne erano costrette a ripensare il proprio futuro in modo più indipendente.
Il secondo abito, in stile retrò, è il tipico vesito da cocktail del tempo di guerra.

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Giulia Conforti.
Abito da cocktail in cotone blu anni ’40.
Make-up: Anna Coppola
Foto: Nicola Dalmo

Tra il 1930 e il 1945 lo sviluppo della moda fu influenzato in larga parte da Hollywood e dai desideri che il cinema risvegliava nella gente comune. Il lusso ostentato nei film degli anni ‘30 attirava tutte le classi sociali e l’emulazione delle star del cinema divenne una forza trainante nello stile di vita. Riviste come Vogue e Mademoiselle usavano le star come modelle nei servizi di moda, eclissandole al livello dei reali europei, con la sola differenza che essi non costituivano un’aristocrazia immutabile per nascita, quanto piuttosto un’élite variabile accomunata dalla bellezza, talento e una buona dose di fortuna. Questo elemento di casualità, faceva sì che il pubblico potesse adorare i suoi eroi e insieme identificarsi con loro, con la ferma convinzione che i sogni potevano sempre avverarsi. Oltre a creare il gusto per abiti e gioielli di lusso, Hollywood ispirò anche una cultura della vita notturna nella quale era possibile comportarsi come le star. Uomini e donne si vestivano con i propri abiti più splendidi e andavano in città, a coppie o in gruppo, per godersi quella che la rivista Vogue definiva “café society”. L’ampia scelta di locali notturni destinati ai vari ceti sociali, produsse una domanda crescente di accessori di tutti i generi, che si armonizzassero non solo con gli abiti ma anche con l’ambiente in cui erano indossati. Gli stili degli abiti e i gioielli da cocktail avevano in comune la predilezione per le forme grosse e audaci, d’impatto cinematografico.

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Spilla anni ‘40 firmata Coro.
Collezione Silvia Fini

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’industria della moda era assediata dal razionalismo e l’occupazione della Francia, nel 1940, aveva bloccato sia l’esportazione della moda, che le pubblicazioni dell’edizione francese di Vogue, creando una forma di isolamento. Negli Stati Uniti, il regolamento restrittivo L-85 specificava addirittura l’esatta quantità di stoffa utilizzabile per ciascun indumento, stabiliva la lunghezza degli orli e delle maniche e si pronunciava anche sui bottoni. L’abbigliamento maschile era una fonte d’ispirazione per lo stile classico, robusto e austero che veniva raccomandato e attrici come Joan Crawford e Marlene Dietrich avevano già accordato al look mascolino il consenso di Hollywood. La tipica moda del tempo prevedeva un tailleur a taglio maschile con le spalle imbottite e le scarpe con la zeppa, che le conferivano un aspetto autoritario e sicuro di sé, coerentemente col suo ruolo di donna lavoratrice.

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Greta Gualandi.
Abito in seta con stampa di gusto orientale, anni ‘40.
Make-up: Francesca Paci
Foto: Nicola Dalmo

Sebbene fosse disegnato con la maggiore eleganza possibile, questo tailleur era quasi una divisa, e aveva bisogno di accessori come i gioielli che lo vivacizzassero e lo rendessero femminile. I gioielli da cocktail apparvero quindi un modo utile per rallegrare il look statico ed essenzialmente utilitario del tempo di guerra. Erano attraenti, divertenti e facilmente disponibili, al punto che, quando la guerra finì, il giro d’affari della cocktail jewelry americana era triplicato dal 1939. Molte piccole società produttrici di gioielli fantasia riconvertirono le loro fabbriche alla produzione di strumenti di precisione, componenti di aeroplani o piastrine d’identificazione, medaglie o fibbie per cintura. Le ditte Trifari e Cohn & Rosenberger (marchio Coro), continuarono produrre gioielli da cocktail, ma dovettero improvvisare per far fronte alle restrizioni sulle materie prime. La loro ingegnosità diede luogo, paradossalmente, ad alcuni dei gioielli fantasia più straordinari e collezionabili del secolo.
Il periodo post-bellico fu un’epoca di ottimismo, l’economia era in piena espansione e gli impianti per la produzione in serie, messi a pieno regime dalla guerra, furono utilizzati per una gamma sempre crescente di beni di consumo. Dopo anni di abiti mascolini, nel 1947 Christian Dior trasformò il look femminile suscitando scalpore e focal

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Alessia Fiocchi.
Abito Clara Centinaro.
Make-up: RossMakeup
Foto: Nicola Veronesi

izzando nuovamente l’attenzione sulle collezioni parigine. Egli divenne rapidamente la linea guida dello stile degli anni ‘50 sia negli Stati Uniti che in Europa. Il new look era basato su una femminilità molto studiata: le sue lunghe gonne spesso ondeggianti richiedevano quantità inaudite di tessuto e riflettevano il nuovo stile di vita e consumo agiato. Il corpo femminile tornava ad essere costretto in curve esagerate ottenibili solo con bustini e corsetti, mentre la rigidità dei tagli anni ‘40 era ammorbidita da spalle scivolate e scollature vertiginose. La formalità del new look richiedeva tacchi alti, ampi cappelli, guanti bianchi e numerosi gioielli importanti: lusso che le donne, dopo anni di austerità imposta dalla guerra, mostrarono di gradire.

Ippodromo Bologna per Silvia Fini 2017

Maria Elena Cesari.
Completo in broccato e sangallo
anni ‘70.
Make-up: RossMakeup
Foto: Nicola Dalmo

Negli anni ‘60 la ribellione dei giovani, che per la prima volta nella storia trovò voce e attrasse enorme pubblicità, prese come obiettivo lo stile maturo di Dior degli anni ‘50, contribuendo alla diffusione degli stili adottati dagli adolescenti. I progressi della produzione in serie condussero a una crescente produzione di massa della moda per tutto il XX secolo, e negli anni ‘60 il forte incremento demografico del dopoguerra costituì un enorme mercato per l’industria. I profondi cambiamenti sociali e morali vennero espressi con forza da una grande varietà di stili, che si sovrapposero coesistendo.

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Eleonora Messeri. Abito anni ‘60 Optical art.
Make-up: Francesca Paci Foto: Nicola Veronesi

A partire dal 1961, la concreta possibilità e il fascino dei viaggi nello spazio, contribuì a creare un’immagine del tutto nuova di “era spaziale”, alla quale diedero un forte impulso la nuova generazione di designer francesi come Pierre Cardin. Intuendo che l’alta moda, nel senso tradizionale del termine era in declino, questi nuovi professionisti usarono le sfilate principalmente come vetrine per le loro collezioni prêt-à-porter, più o meno come fanno i designer attuali. Una delle forme d’arte più originali e rappresentative degli anni sessanta è la “Op art” (optical art).

Ippodromo Bologna per Silvia Fini 2017

Victoria Sinardi Brunello.
Abito Emmanuel Ungaro, anni ‘60.
Make-up: Claudia Calzoni
Foto: Nicola Dalmo

Si tratta di un movimento di arte astratta nato intorno agli anni cinquanta e sviluppatosi poi negli anni sessanta, caratterizzata dall’approfondimento di ricerche ottico-percettive condotte nell’ambito del Bauhaus, del Futurismo e del Dadaismo. Gli artisti della Op-art si servono delle tecniche industriali per ricreare i loro effetti ottici e di movimento, e di congegni meccanici, luminosi, ellettromagnetici, oltre ad i classici accostamenti di colori netti a linee, punti, forme geometriche che destano nell’osservatore reazioni ottiche e psicologiche.

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Elizabeth Sinardi Brunello.
Abito Emmanuel Ungaro anni ‘60
Make-up: Claudia Calzoni
Foto: Nicola Dalmo

Nella sua stupefacente varietà, la moda degli anni ‘60 fu caratterizzata da una libertà senza precedenti. In questo clima di illimitate possibilità, la ricerca della nuova grande idea era continua, favorita dall’immediata disponibilità di articoli di moda economici e prodotti in serie.  La produzione in serie richiede una comunicazione di massa che crei la domanda per i beni effimeri riversati senza sosta sul mercato. I primi significativi legami erano stati con i film di Hollywood, ma negli anni ‘60 la produzione in serie serviva ormai una cultura di massa diffusa da una incredibile varietà di media: la televisione, i network d’informazione, le riviste e la musica pop. Il culto dell’immagine, della celebrità, e la connessa frenesia consumistica provocarono una violenta reazione idealistica, che sfociò nel movimento hippy “flower power”.

Ippodromo Bologna per Silvia Fini 2017

Aneta Malinowska.
Abito in seta  flower power. Anni ‘70.
Make-up: RossMake
Foto: Nicola Dalmo

Questo movimento tentò di dar vita alla controcultura di una società alternativa, basata su valori non mercantili. Ma anche questa immagine hippy era facilmente sfruttabile e condusse alla produzione di una grande quantità di abiti con decorazioni floreali e relativi accessori.

Autore: Silvia Fini