Il gioiello nei ritratti fiamminghi

1 Apr
Jan e Hubert van Eyck, Polittico dell'agnello mistico (particolare), 1426 -1432, Gand

Jan e Hubert van Eyck, Polittico dell’agnello mistico (particolare), 1426 -1432, Gand

Nella storia dell’arte molte opere si presentano ai nostri occhi come una sfavillante vetrina di gemme e pietre preziose: perle, diamanti, topazi, lapislazzuli, cammei, alabastri e altre meraviglie compaiono in molte tele rivestendo spesso sottili significati simbolici. Troviamo un grande repertorio di monili nella pittura fiamminga, proveniente dalla Borgogna ducale nelle Fiandre, che alla fine del secolo XIV e nella prima metà del XV conosce la pienezza della sua vita artistica e culturale.

Nelle immagini sacre della tradizione tardogotica borgognona, la valenza è molto iconica e allegorica, il gioiello è dunque il simbolo della preziosità e rarità della fede; nelle immagini di corte, invece, si assiste a un vero e proprio ritratto di costume, attraverso l’uso degli ornamenti si può risalire al gusto, agli usi e alle trasformazioni sociali di quegli anni.

Hans Holbein il Giovane, Ritratto di Jane Seymour, 1537

Hans Holbein il Giovane, Ritratto di Jane Seymour, 1537

Nei pittori fiamminghi il quadro è uno specchio della natura in cui ogni particolare è accostato all’altro con cura e sapienza in un minuto lavoro di osservazione e fedele riproduzione; così quindi anche per i gioielli rappresentati è possibile osservare la resa pittorica fortemente realistica dell’oro e delle gemme più preziose. I personaggi dei ritratti fiamminghi si distaccano dal fondo e prendono forma e volume, ruotando verso chi guarda, come in dialogo; il gioiello risplende quindi in tutta la sua minuziosa e preziosa fattura, come se fosse li, reale, davanti ai nostri occhi, pronto per essere indossato. Una dirompente carica di sensualità ed erotismo stravolge, sconvolge e rinnova gli sfarzi della gotica pittura borgognona: i gioielli non più come simbolo della potenza divina ma come esaltazione della bellezza terrena.

Petrus Christus, Ritratto di giovane donna, 1460-1470

Petrus Christus, Ritratto di giovane donna, 1460-1470

Il rapporto fra gioiello e pittura, in quest’epoca per i fiamminghi fu molto stretto e ravvicinato: pittori e scultori erano soliti fare pratica nelle botteghe degli orafi per ricavare abilità e raffinatezza tecnica. I rapporti di interscambio erano stretti e molteplici, l’accuratezza del dettaglio nella rappresentazione del gioiello era in alcuni casi dovuta proprio alla “sapienza del mestiere”: i fratelli van Eyck, ad esempio, furono abili orafi e miniaturisti. Scopriamo quindi che il grandissimo artista Jan van Eyck (Maaseik, 1390 circa – Bruges, 1441), oltre ad essere celeberrimo per la resa analitica della realtà e per aver introdotto in Europa la tecnica della pittura a olio (che sostituì l’uso del colore a tempera), era uso anche intagliare diamanti e incastonare pietre.

Peter Paul Rubens, Ritratto di Eleonora Gonzaga all’età di tre anni (part.), 1601 ca.

Peter Paul Rubens, Ritratto di Eleonora Gonzaga all’età di tre anni (part.), 1601 ca.

Uccelli, animali esotici e mostri fantastici sono i soggetti principali delle opere di oreficeria del primo Cinquecento. La scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, avvenuta alla fine del XV secolo, ha permesso l’arrivo in Europa di motivi decorativi fino a quel momento inesistenti, ereditati dalla cultura inca e azteca. Le novità passando per la Spagna, giungono anche in Italia (soprattutto per mezzo dei grandi mecenati), dove si fondono con la tradizione figurativa greco-romana. Oltre all’utilizzo di un’iconografia favolosa, questi gioielli sono caratterizzati da una sontuosa commistione di materiali. Ori, smalti, perle e pietre preziose si presentavano nello stesso monile.

Si riteneva che questi oggetti d’oreficeria, spesso ispirati da immagine diffuse tramite libri stampati, avessero dei poteri magici. Un esempio è il Ritratto di Eleonora Gonzaga all’età di tre anni, del pittore Peter Paul Rubens (Siegen, 1577 – Anversa, 1640), realizzato nel 1601, in cui compare un singolare gioiello, un pendente con una scimmia, che simboleggia prosperità e protezione dalle malattie, grazie ai rametti appuntiti che avevano la capacità di deviare l’influsso malefico.

Tra le diverse connotazioni simboliche della scimmia, essa può essere interpretata anche come una allegoria della pittura e della scultura: l’arte, come la scimmia, copia gli atteggiamenti degli uomini, fedelmente, divenendo specchio della realtà. La scimmietta di Eleonora Gonzaga è inoltre collegata anche alla vezzosità della damina, che amava specchiarsi. Uno specchio sembra apparire nella mano destra della scimmia per rappresentare un peccato combattuto nelle bambine e nelle donne: la vanità.

Johannes  Vermeer, Ragazza con turbante (o Ragazza con perla all'orecchio), 1665 ca.

Johannes Vermeer, Ragazza con turbante (o Ragazza con perla all’orecchio), 1665 ca.

Non è possibile, infine, non citare tra i nordici il pittore olandese Jan Vermeer (Delft, 1632 – 1675) e la sua celeberrima opera Ragazza con turbante, dipinta nel 1665 e famosa come Ragazza con l’orecchino di perla proprio in virtù della potenza scenica e sensuale del gioiello indossato.

Il pittore, a lungo sottovalutato dalla critica, deve la sua rivalutazione al critico Jean-Louis Vaudoyer, che gli dedica una serie di articoli in cui rivendica l’uso “nutriente” che fa del colore, capace di risvegliare una sorta di “appetito sensuale” perché scava nella materia più profonda, dando consistenza reale e sanguigna alle immagini rappresentate. L’opera deve invece perlopiù la sua fortuna mediatica ai due libri che ha ispirato, La ragazza col turbante della scrittrice Marta Morazzoni, edito nel 1986 e La ragazza con l’orecchino di perla del 1999 della scrittrice Tracy Chevalier. Da quest’ultimo romanzo è stato realizzato nel 2003 l’omonimo film interpretato da Scarlett Johansson, che ne ha consacrato definitivamente la fama. Si tratta di un ritratto di giovane donna in stile tronien, tipo di ritratto in costume storico/esotico di personaggi biblici, mitici o semplicemente antichi; la giovane è “dipinta alla moda turca”, per via del turbante indossato, che le regala un alone ancora più misterioso ed esotico.

L’orecchino con perla del quadro, che cattura quasi da solo la centralità della luce di cui è pervaso il dipinto, è di grandi dimensioni ed è a forma di goccia. Sebbene la ragazza che lo indossa appaia di modeste condizioni, tale monile era al tempo di Vermeer prerogativa delle dame aristocratiche dell’alta borghesia, come rappresenta lo stesso artista in un’opera appena più tarda, La padrona e la serva.

Johannes  Vermeer, La padrona e la serva, 1667 ca.

Johannes Vermeer, La padrona e la serva, 1667 ca.

Nel XVII secolo le perle, importate dall’estremo oriente, erano una preziosa rarità. Nate dal mare, prodotte dal mollusco all’interno dell’ostrica per proteggersi da piccoli elementi come granelli di sabbia, le perle sono tra i gioielli più eleganti e femminili, il cui fascino era ben noto anche agli antichi: le nobildonne romane reputavano la perla il gioiello più elegante e raffinato, e pare che la regina Cleopatra possedesse le due perle più grandi del mondo. Un’antica leggenda araba racconta che le perle sono gocce di luna cadute nel mare per adornare la bellezza femminile. Presso gli antichi greci, la perla era il gioiello di Afrodite, dunque simbolo d’amore, ed era il gioiello preferito da Polinnia, la Musa addetta agli inni, ai canti e all’eloquenza.

Inoltre, si credeva che la perla avesse poteri magici e taumaturgici, che fosse afrodisiaca, che rendesse la pelle bianca e luminosa e che avesse un effetto calmante sull’umore e lenitivo per i dolori di stomaco; per questo, in base ad un’usanza dalle origini molto antiche e mantenuta tra le classi più elevate fino al XVIII secolo, veniva bevuta disciolta nell’aceto.

La leggenda secondo cui le perle “portino lacrime” risale al Medioevo: ancora oggi, si usa “pagare” con una monetina simbolica chi ci dona le perle, che in questo modo diventano acquistate, spezzando così il maleficio.

Oggi come ieri, le perle continuano a conservare il loro fascino di “figlie del mare” e a tramandare un valore simbolico di pegno d’amore e di innata eleganza senza tempo.

Autore: Lara De Lena

photo credit: http://it.wikipedia.org/; www.italianopera.orgPierluigi De Vecchi, Elda Cerchiari, Arte nel tempo, vol 2 – Tomo 1 e 2, Milano, Bompiani, 1991; Carlo Bertelli, Antonio Briganti, Carlo Giuliani, Storia dell’arte italiana, vol 3, Milano, Electa/Mondadori, 1990

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