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Il Flower Power tra moda e società

23 Mag

The weight of the world
is love.
Under the burden
of solitude,
under the burden
of dissatisfaction
the weight,
the weight we carry
is love

(Song, Allen Ginsberg, 1954)

Copertina del concept album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, ottavo album della discografia ufficiale dei Beatles, 1967

Copertina del concept album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, ottavo album della discografia ufficiale dei Beatles, 1967

Gli anni ’60 e ’70 del Novecento hanno portato grandi cambiamenti: dalla rivoluzione sessuale della pillola anticoncezionale alla moda della minigonna; è il decennio dei Beatles e della Pop Art di Andy Warhol, delle lotte politiche e del movimento pacifista, degli hippies, del Flower power, del rock psichedelico, del festival di Woodstock (la cui risonanza mediatica fu enorme in tutto il mondo), della guerra in Vietnam e della legge sul divorzio in Italia: avanza a piè pari un profondo cambiamento negli usi e costumi della società occidentale e i giovani e le donne vivono in prima linea questo rinnovamento radicale, i cui influssi sono tangibili anche ai nostri giorni.

La modella Twiggy, icona pop degli anni '70

La modella Twiggy, icona pop degli anni ’70

Negli anni ’60 trionfa il culto dell’immagine fotografica e della produzione in serie diretta sempre di più ad una cultura di massa, alimentata ora più che mai dai media (televisione, riviste) ed in particolare dalla potenza evocativa della pubblicità.

Spilla floreale in celluloide, anni '60

Spilla floreale in latta smaltata, anni ’60

Andy Warhol dedica nelle sue opere molto spazio al concetto e al valore di “falso”; molti artisti, come Salvator Dalì, si cimentano nella creazione dell’arte in forma di gioiello e l’ultimo dei grandi disegnatori di bijoux americani, Kenneth Jay Lane, negli anni ’70 viene consacrato definitivamente come capostipite nella produzione seriale dei bijoux, realizzando in gioielleria il concetto dei “multipli” che la Pop Art aveva teorizzato e realizzato nelle arti visive: produzione di massa non solo come ripetizione ossessiva dello stesso soggetto ma come mezzo mediatico per far arrivare l’idea dell’artista al maggior numero di persone possibile.

Il culto dell’immagine, la spasmodica ricerca della celebrità, il consumismo indotto provocano, insieme alle tensioni sociali del momento (guerra in Vietnam, assassinio di Kennedy, situazione in Cina) una forte reazione idealista e pacifista, dando luogo al movimento degli hippies, i “figli dei fiori”. Gli hippies adottano uno stile di abbigliamento lontano dai canoni classici della moda patinata, usando la moda come simbolo di libertà e di parità dei sessi: camicie larghe e colorate, tuniche dai colori sgargianti, gonne lunghe, pantaloni a zampa e monili dal retrogusto esotico diventano parte di un ben definito gruppo culturale e sociale, che vuole prendere le distanze dalla società convenzionale.

Il poeta statunitense Allen Ginsberg

Il poeta statunitense Allen Ginsberg

Flower power è un’espressione tipica del movimento hippy, che significa letteralmente “potere dei fiori”, simbolo di una ideologia non violenta. La paternità dello slogan, risalente al 1965, è del poeta Allen Ginsberg. Il movimento nacque per opporsi attivamente alla guerra del Vietnam; alcune prese di posizione dei pacifisti militanti (come bruciare le lettere di chiamata obbligatoria alle armi) suscitarono sdegno e critiche negli ambienti conservatori e tradizionalisti ma fecero leva sulle giovani generazioni, gettando i semi di una cultura hippy che si consacrerà negli anni a seguire, estendendosi dagli Stati Uniti all’Europa. Proprio in Europa, ad Amsterdam, si trova uno dei luoghi di incontro del movimento più famosi, una vecchia chiesa trasformata in un club musicale chiamato “Paradiso”, rifugio della controcultura antimilitarista e anti interventista e luogo in cui molti dei più grandi artisti del tempo (tra cui Yoko Ono), tennero memorabili performarce e concerti.

Locandina del concerto di Woodstock, 1969

Locandina del concerto di Woodstock, 1969

Parlando di concerti e di hippies, come non citare il mitico festival di Woodstock, che nell’immaginario comune è la manifestazione più celebre del movimento Flower power. Il leggendario evento, che vide tra i suoi protagonisti mostri sacri della storia della musica come Joan Baez e Bob Dylan, si svolse a Bethel, una piccola città rurale nello stato di New York, nell’estate del 1969, prendendo il nome dalla vicina città di Woodstock e accolse (inaspettatamente) più di 400.000 giovani. La grande carica simbolica lo ha consacrato come uno tra i più grandi eventi della storia del rock e del costume.

Joan Baez e Bob Dylan

Joan Baez e Bob Dylan

L’espressione Flower Power rimanda le antiche credenze secondo le quali i fiori abbiano proprietà nascoste che vanno portate alla luce; dal punto di vista sociale questo rimanda inevitabilmente alle droghe ed agli allucinoceni ma dal punto di vista della moda e del costume richiama un nuovo stile, più libero e disinibito, più infantile e colorato: a partire dalla seconda metà degli anni ’60 trionfano le stampe dalle fantasie psichedeliche e floreali e dai disegni geometrici con cerchi, linee intrecciate deformate e colore, colore, tantissimo colore, accostato con nuova e disinibita libertà.

Moda floreale anni '70

Moda floreale anni ’70

Nel corso degli anni ’70 ai temi floreali si accostano i simboli della pace e di gusto orientale, in linea con la corrente di pensiero degli hippies. I nuovi simboli entrano in uso sia negli abiti che negli accessori. In questo periodo l’industria del gioiello vede un calo di produzione: come nel periodo della crisi economica degli anni ’40, in un momento sociale che richiama ad uno stile di vita più sobrio e minimale, i bijoux che esaltano uno stile glamour e di sfavillante eleganza non sono visti di buon occhio; fanno tuttavia eccezione gli orecchini molto grandi e i pendenti con simboli naturali e orientaleggianti.

collana in materiale plastico, metallo e perline, anni '70

Collana in materiale plastico, metallo e perline, anni ’70

Le case produttrici, anche e soprattutto per avvicinarsi ai gusti ed alle tendenze del momento, scelgono materiali prevalentemente poveri (oltre che intrinsecamente anche nell’aspetto) e duttili: compaiono quindi gioielli composti da fili metallici intrecciati tra loro, stoffa, perline e piccoli ciondoli in materiali plastici.

Si può dire che la moda floreale, il gusto per i colori accostati in libertà, le forme ampie, morbide e libere di questi anni, hanno subito rimaneggiamenti, reinterpretazioni ma non sono mai scomparse, forse per l’allegria e la leggerezza che evocano, forse perché rappresentano ancora, loro malgrado, l’utopia di un mondo migliore, più attento alla natura e al rispetto tra i popoli.

Autore: Lara De Lena

photo credit: www.woodstockfilmfestival.comwww.truthseeker444.blogspot.comwww.feelnumb.comhttp://moda.pourfemme.it/www.fleurette.itwww.paoenrico.it; http://www.finisilvia.com; http://www.stilefemminile.it;

FER DE BERLIN, czyli jak żelazo zyskało większą wartość od złota

8 Apr

Biżuteria pełni ważną – symboliczną, czy też czysto ozdobną – rolę w życiu człowieka już od epoki antyku. Mogła być wyznaniem miłości, oznaką statusu w społeczeństwie lub reprezentować władze. Jedno było pewne – im bardziej kosztowne jej wykonanie, „tym lepiej”, tym bardziej pożądana i tym więcej ludzie byli w stanie za nią oddać. Jak więc wytłumaczyć zdumiewające wydarzenie z historii pruskiej z roku 1813,  w którym to wśród kobiet i mężczyzn modny stal się slogan Złoto dałam/dałem za żelazo?  Aby zrozumieć ewenement wyrobów biżuteryjnych z żelaza, przyćmiewających sławę złota w XIX wieku, należy poznać bliżej historię pierwszych hut i odlewni żeliwa w Polsce, z których to pochodząca biżuteria żeliwna, stała się oznaką głębokiego patriotyzmu.

Property of F D Gallery

Property of F D Gallery

W latach 70. XVIII w. na terench Śląska powstały huty i odlewnie żelaza, które rozpoczęły wykorzystywanie koksu do opalania pieca hutniczego. Jednak nowością (w pierwszym pruskim zakładzie, tzn. hucie gliwickiej otworzonej ok. 1796  r. i w kolejnym, powstałym w Berlinie), która nas bardziej zainteresuje, było odkrycie nowego zastosowania żeliwa – do produkcji wyrobów dekoracyjnych. Wieść o żelaznych ozdobach rozeszła się na tyle szybko, że już około 1806 r. pojawili się pierwsi jubilerzy (Johann Conrad Geiß, a za nim Siméon Pierre Devaranne), zainteresowani wyrobem biżuterii, już nie złotej, tylko nowej, przez to modernej – żelaznej.  Była ona pierwotnie odlewana właśnie w hutach państwowych, ale z czasem, stała się tak popularna, że Geiß zdecydował się na otwarcie własnego zakładu – państwowe odlewnie przestały po prostu nadążać za jego zamówieniami. Fer de Berlin czy fonte di Berlinó – tak wlasnie opisywano nowoczesną biżuterię – zaczęły się także interesować znane osobistości, takie jak np. sławny architekt i artysta niemiecki – Karl Friedrich Schinkel. Przy pomocy konkurenta Geißa, Devaranne (a konkretnie dzięki jego kontaktom w stolicach Europy Paryżu i Londynie), o ozdobach żeliwnych usłyszano także poza granicami pruskimi (liczba przedsiębiorstw zaczęła się zwiększać z roku na rok). Dodatkowym powodem, który przyczynił się do niezwyklej popularności biżuterii żelaznej, była z pewnością rola, jaką odegrała na scenie politycznej na początku XIX wieku.

W roku 1813, podczas wojny wyzwoleńczej, która miala powstrzymać  Napoleona przed kolejnymi podbojami i doprowadzić do wyzwolenia Prusów spod władzy francuskiej – został wydany przez księżniczkę Hessen-Homburg apel z prośba o oddanie kosztownej biżuterii – w celu dofinansowania armii antyfrancuskiej. W zamian za błyszczące datki, kobiety, a później także meżczyźni, otrzymywali skromną, żelazną biżuterię. W związku ze wspomnianą kampanią powstała nawet specjalnie na tą okazję biżuteria z wygrawerowanym napisem – Gold gab ich für Eisen („Złoto dałam za żelazo”).  Ta oto, w ten sposób, zyskała walor patriotyczny oraz socjalistyczny i w paradoksalny sposób – na tego, kto nosił „żelazo” spoglądano z szacunkiem – jako na walczącego za ojczyznę, natomist tych, którzy nadal świecili się złotem i srebrem, omijano wzrokiem. Kolejnym ważnym czynnikiem, który pomogł żelazu w uzyskaniu popularności równej złotu czy też kamieniom szlachetnym, było ustanowienie przez króla Prus Fryderyka Wilhelma III odznaczenia wojskowego za ofiarność w walce wyzwoleńczej z 1813 r., którym to stał się Krzyż Żelazny odlewany właśnie w żeliwie (projektu współpracownika Geißa, już wcześniej przez nas wspomnianego, C. F. Schinkla).  Ten krzyż został później reaktywowany podczas I wojny światowej, co ukazuje jeszcze lepiej nobilitację nowego materiału, jakim było żelazo. Motyw żelaznej biżuteri otrzymywanej w zamian za złoto – jako symbol wspomagania ojczyzny – odnajdujemy także w innych dziedzinach, tj. na scenie (Emmerich Kálmán skomponował operetkę opisujacą to wydarzenie), oraz w literaturze (w 1933 r. Margarethe Pauly napisała powieść pod tytułem pt. Gold gab ich für Eisen).

Copyright © 2015 Made by Custom. All Rights Reserved

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Warto także przejrzeć się bliżej wykonaniu biżuterii żeliwnej. Wszystko rozpoczynało się przetapianiem surówki żelaza w żeliwniakach (tzn. piecach hutniczych), które znajdowały się w odlewniach. Następnie przechodzono do sztuki odlewnictwa, która polegała na zalewaniu przygotowanej już formy, poprzednio stopionym materiałem – w tym przypadku stopem żelaza z węglem – i kolejnie na kontrolowaniu krzepniecia tak, aby otrzymac wyrób o preferowanej konsystencji. Ok. roku 1830 rozpoczęto używanie formy wykonanej w drobnoziarnistym piasku odlewniczym, którą można było znaleźć tylko w odlewniach pruskich. Technika odlewania została udoskonalona także o zapobieganie rdzy, poprzez zastosowanie cieniutkiej warstwy pokostu lnianego. Kolejnym ulepszeniem było złocenie (szczególnie wewnętrznych) płaszczyzn biżuterii, po to, aby żelazo nie reagowało ze skórą. Była to „podwojna wygrana”, ponieważ pozłacane elementy idealnie komponowały się z głęboką, matową czernią żelaza i tylko nadawały mu niesamowitej wytworności i szyku. Jeśli chodzi o kanon form, w których były odlewane elementy biżuterii, to odpowiadał on ówczesnej modzie – wśród motytów można było spotkać ornamenty z epoki antyku odpowiadające modnemu wówczas neoklasycyzmowi (takie jak akanty, palmety czy tez klon okrąglolistny) czy też elementy budowlane (zaczerpnięte z szerokiej gamy gotyckich elementów architektonicznych, tzn. nawiązujace do neogetyku). Po roku 1820 repertuar powiększono o nowe elementy – pochodzące z mitologii rzymskiej nimfy, gracje i amory.  Do wyboru motywów dołączyły szybko także te zaczerpniente ze stylu Biedermeier (róże i bukiety kwiatów), czyli śmialo można powiedzieć, że w kolekcjach biżuterii żeliwnej, każdy mogł znaleźć coś dla siebie.

Rozkwit biżuterii żeliwnej przypadł na lata 1815-1840. Fer de Berlin i fonte di Berlinó – tak właśnie nazywano żelazne „błyskotki”, które z czasem można było kupić już nie tylko w Gliwicach czy Berlinie, ale także w kolejnych sklepach we Wroclawiu oraz w stolicach mody takich jak Paryż czy Londyn. Dzięki wspomaganiu produkcji przez króla pruskiego, biżuteria z żelaza odznaczała się najlepsza jakościa materiału oraz zastosowaniem filigranowych elementów ozdobnych i w ten sposób pojawiła się także na najpopularniejszych salonach. Kolejnym krokiem w historii żeliwa ozdobnego, była produkcja galenterii (tj. przedmiotów używanych na co dzień). Były to ozdoby takie jak plakietki, statuetki, medaliony, kandelabry, wizytowniki, stojaki na zegarki kieszonkowe, chrzcielnice czy tez nawet meble – wszystko to, podobnie jak biżuteria, było zgodne z panujacymi wówczas trendami.

W roku 1848, po tragedii Wiosny Ludów na ktorej ucierpały niestety także odlewnie, pracownicy zakładów hutniczych nie byli w stanie odnaleźć wiekszości utraconych modeli i dokumentów. Dodatkowo fakt, że wzrastała coraz szybciej konkurencja na rynku odlewniczym oraz została wynaleziona łatwiejsza technika – odlewania brązu – berliński zakałd chylił się ku upadkowi, co zaskutkowało ostatecznym zamknieciem odlewni w 1874 roku. Produkcja biżuterii żeliwnej, znikała powoli ze sceny, wraz jej wygasającym mottem patriotycznym. W latach 20. XX w. próbowano wznowic produkcję żeliwnych ozdób, ale jako, że zmienił się kontekst historyczny i z pewnościa także moda, fenomen z pierwszej połowy XIX w. już się nie powtórzył.

W XXI w. żeliwne ozdoby spotkamy przede wszystkim na wystawach w museum – w tym np. w Märisches Museum w Berlinie czy tez Victoria and Albert Museum w Londynie. Motywy wykorzystywane przy produkcji biżuterii żeliwnej są interpretowane do dzisiaj (przykładowo przez berlińską projektantkę biżuterii Bettinę Fehmel), ale już ubrane w inny, bardziej „na czasie” materiał – silikon. W niektórych niemieckich lub londyńskich antykwariatach jeszcze teraz można znaleźć oryginalne żeliwne kolie i bransoletki, z jedną przestrogą – należy za nie zapłacić od…..1000 do 12 000 euro. Jeśli chodzi o przedmioty codziennego użytku, to jeszcze u nie jednego niemieckiego kupca, w sklepie z antykami (np. w Monachium czy Hamburgu) stoi zakurzona statua, stoł czy krzesła wykonane z żeliwa. Trzeba się niestety liczyc z tym, że cena także w tym przypadku jest dosyć wysoka.

Symbol oddania za ojczyzne, przykład na to, ze wszystko co w modzie się sprzeda lub też najlepsza interpretacja żelaznych czasów, jaką można tylko znaleźć – sukces biżuteria żelazna zawdzięcza pewnie wszystkim tym powodom. Jedno jest pewne – niepowtarzalna precyzyjność i kunszt wykonania, zastosowanie oryginalnego, nowego materiału i matowy kolor, który z gracją „przebił” błysk szlachetnego złota – to wystarczjące powody, aby ozdoby żeliwne zyskały swój osobny, choćby krótki, rozdział w historii biżuterii.

Author: Sonia Pytkowska

Art Noveau, gioielli per esteti

3 Apr
Alphonse_Mucha, Donna con orecchini, 1900

Alphonse Mucha, Donna con orecchini, 1900

Occorre che l’arte penetri dappertutto, che porti nel più umile oggetto il suo marchio e il suo fascino, orni tutte le forme materiali dell’esistenza.

Così veniva scritto nel 1902 nella rivista Arte decorativa e moderna e con queste parole si può sintetizzare lo spirito che pervade le creazioni dell’Art Noveau, movimento artistico che interessa le arti figurative, l’architettura e le arti applicate all’industria in Europa e negli Stati Uniti tra il 1890 e la Prima Guerra Mondiale. Con l’Art Nouveau, in concomitanza a una nuova fioritura delle arti applicate, nasceranno i grandi nomi della gioielleria: Lalique, Fouquet, Cartier, Bulgari, tra gli altri. Come mai prima nella storia, i gioielli diventano vere e proprie creazioni artistiche, oltre che di alto artigianato, in simbiosi con il movimento inglese delle Arts and Crafts di William Morris il quale, denunciando la mediocrità della produzione industriale, lancia un’appassionata difesa dell’artigianato come recupero del “valore estetico” degli oggetti. L’obiettivo utopistico è rinnovare la società attraverso l’artigianato. “La bellezza salverà il mondo”, afferma nel 1868 il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij: Morris era convinto sostenitore che la Bellezza avrebbe consentito a uomini e donne di ogni provenienza e ceto sociale di raggiungere il più alto grado morale, una sorta di “democrazia” della bellezza, dunque, come portatrice di alti valori morali.

L’obiettivo, per quanto nobile, si rivela purtroppo illusorio: l’oggetto d’artigianato sostenuto come salvaguardia della qualità e varietà creativa inevitabilmente si scontra con una realtà economica figlia della modernità raggiunta, in cui il “prezioso” corrisponde al “costoso”.

Altro stimolo alla rinascita della gioielleria come di tutte le arti applicate è il clima simbolista che permea la cultura europea di fine Ottocento.

Gustave Moreau, L'apparizione, 1876

Gustave Moreau, L’apparizione, 1876

Col volto raccolto, solenne, quasi augusto, ella comincia la lubrica danza che deve risvegliare i sensi assopiti del vecchio Erode; i seni le ondeggiano e, al contatto delle collane agitate, le loro punte si ergono; sul madore della pelle, i diamanti aderenti scintillano; i braccialetti, le cinture, gli anelli sprizzano faville; sulla veste trionfale, intessuta di perle, ricamata d’argento, laminata d’oro, la corazza delle oreficerie di cui ogni maglia è una gemma, entra in combustione, intreccia serpenti di fuoco, fa formicolare sulla carne opaca, sulla pelle rosa tea, quasi degli splendidi insetti dalle elitre sfolgoranti, venate di carminio, punteggiate di giallo aurora, screziate di azzurra acciaio, tigrate di verde pavone.

(Joris-Karl Huysmans, À rebours, 1884 – Descrizione de L’apparizione di Gustave Moreau)

Per gli artisti, i poeti e gli intellettuali simbolisti è fondamentale abolire ogni confine di memoria vasariana tra arti “maggiori” (pittura, scultura e architettura) e “minori” (artigianato, arti applicate) per fare dell’arte un’esperienza estetica e totalizzante.

Il gusto Art Nouveau tra 1895 e 1914 si diffonde rapidamente in tutta Europa, rivoluzionando la pittura e la grafica come l’architettura e le arti decorative. La gioielleria trova piena realizzazione, prestandosi, per la malleabilità dei materiali e le dimensioni ridotte, a sperimentazioni ardite e raffinate degli artisti-artigiani. Sono perlopiù gli artisti parigini a realizzare le produzioni più originali.

Reneè Lalique, Uccelli, pendente, 1898

Reneè Lalique, pendente a tema Uccelli, 1898

René Lalique, il più noto creatore di gioielli dell’epoca, lega il suo nome e la sua fama oltre che alla sua abilità alla figura della grande attrice contemporanea Sarah Bernhardt, per la quale realizzò numerosi monili.

Secondo Lalique il valore dei materiali usati è irrilevante, ciò che conta è il risultato finale, la “forma”; nei suoi lavori, quindi, possiamo veder convivere materiali preziosi con altri meno nobili quali, ad esempio, il vetro. L’opera di Lalique trae ispirazione, in particolar modo, dalla natura e dall’arte giapponese, molto in voga in quel periodo. I temi naturalistici sono ricorrenti nei suoi gioielli: animali, pesci, piante e, soprattutto, insetti. Oltre alla raffinatezza nella scelta dei materiali (oro, smalto e gemme) e alla pregiata esecuzione, è da notare che in molti suoi gioielli vi sono parti mobili: geniale espediente che permette al gioiello di spostarsi assieme al corpo della persona che la indossa.

Reneé Lalique, spilla a libellula (1897-1898)

Reneé Lalique, spilla a libellula, 1897-1898

L’esempio più noto dell’opera di Lalique e del suo sodalizio con la Bernhardt è una spilla per corpetto a forma di libellula dalle cui mandibole aperte esce il dorso di una donna che, in luogo delle braccia, ha grandi ali in plique à jour.nSpesso, e come nel caso di questo gioiello, il naturalismo di gusto Art Noveau attinge a piene mani da un immaginario erotico che rimanda alla figura della femme fatal alla Salomè di Moreau.

Sarah Bernhardt

Sarah Bernhardt

Altro importante gioielliere parigino fu Georges Fouquet, a lungo collaboratore del celeberrimo disegnatore di manifesti Art Noveau Alpons Mucha.

Reneé Lalique, pendente testa di ragazza incorniciata da papaveri (1898-1899)

Reneé Lalique, pendente testa di ragazza incorniciata da papaveri, 1898-1899

Insieme i due artisti realizzano seducenti e sfarzose parures de tete et de corsage, preziose acconciature sistemate sul capo e nel busto con pietre a cabochon, smalti, pendenti, gruppi tintinnanti di ciondoli appesi a catenelle, volti femminili scolpiti nell’avorio, piastre e catene di fogge diverse, ottenendo grande successo alle Esposizioni universali di Parigi (1900), Liegi (1905) e Milano (1906). Si tratta perlopiù di gioielli ispirati a modelli indiani dell’antichità, sognati con la sensibilità del raffinato contemplatore esteta fin de siècle.

Georges Fouquet, pendente a tema La nascita di Venere, 1900 ca.

Georges Fouquet, pendente a tema La nascita di Venere, 1900 ca.

Gli effetti della moda Art Nouveau si avvertono fino all’alba della Grande Guerra anche in altri paesi europei, fino a scemare, vittima di un certo accademismo manierato. In Italia a ereditare il gusto Art Noveau e l’utopia delle Arts and Crafts è, tra le altre, la Società bolognese Aemilia Ars, fondata nel 1898, col proposito di creare un rinnovamento nel campo delle arti applicate. Alfonso Rubbiani, il suo fondatore, parte dell’osservazione delle forme dell’arte medievale più goticheggiante e crea una commistione con la natura, dando forma a ornati vegetali e figure zoomorfe di impronta squisitamente liberty e preraffaellita. Aemilia Ars avrà un’influenza non trascurabile sul clima culturale bolognese e in particolare su artisti come Achille Casanova, Alfredo Tartarini, Giuseppe Romagnoli, che parteciparono all’attività artistica della società.

Augusto Majani Nasica, copertina della rivista Bologna che dorme, anno 2, n. 2 - 12 gennaio 1899

Augusto Majani Nasica, copertina della rivista Bologna che dorme, anno 2, n. 2 – 12 gennaio 1899

Con il dissolversi del gusto Art Noveau e in generale dell’estetica modernista sembrano spegnersi anche la speranza di una rinascita delle arti applicate e le utopie protoromantiche del XIX secolo, preparando la strada alle avanguardie che caratterizzeranno il XX secolo.

Autore: Lara De Lena

Photo credit: en.wikipedia.org; http://www.storiaememoriadibologna.it;

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Aemilia Ars (RU)

19 Mar

В 500-600 годах,Болонья была оживленным центром вышивки, о чем  свидетельствует опубликованный альбом рисунков кружева Angelo Passarotti (1591) и Bartolomeo Danieli (1639). В 1898 году по проекту Alfonso Rubbiani, carlton4возникла компания Aemilia Ars,задачей которой было создание тесного сотрудничества между художниками, ремесленниками и клиентами. Вдохновленная натуралистическими мотивами средневекового искусства, эта компания получила почетный диплом на Международной выставке в Турине в 1902 году.С успехом пришла надежда на возрождение ремесел в Болонье, но к сожалению, из-за экономических трудностей, компания распалась в 1903.С этого момента было решено развивать только более выгодную  индустрию кружева и вышивки. Деятельность болонезких вышивальщиц приняла форму женского кооператива под патронатом графини Lina Bianconcini Cavazza, достигнув интернационального успеха и признания. Рисунки  и ткани, хранятся в музее тканей и гобеленов Villa Spada, на via di Casaglia n.3 в Болонье.

Aemilia Ars (AR)

19 Mar

carlton1

  ما بين القرن 500 و 600 كانت مدينة بولونيا مركزا حيوياللتطريز, تشهد على ذلك الألبومات المنشورة لدانتيل و تصاميم

أنجيلو باساروتي  Angelo Passarotti (1591) ودانييلي

بارثولوميو  Bartolomeo Danieli(1639). في سنة 1898،

بمشروع من تفكير ألفونسو روبياني Alfonso Rubbiani،

نشأت الشركة “ايميليا آرس”، مهمتها خلق شراكات وثيقة بين

الفنانين والعمال والعملاء.

مستلهمة أفكارها من الزخارف الطبيعية لفن العصورالوسطى،

حصلت هذه الشركة على دبلوم شرف في المعرض الدولي

لمدينة طورينو في عام 1902.

هذا النجاح جعل الأمل في ولادة جديدة للصناعة التقليدية

البولونية ولكن للأسف، ونظرا للصعوبات الاقتصادية، تم حل

الشركة في عام 1903.

ومنذ تلك الوقت فقط تقررالاستمرار فقط في صناعة الدانتيل

والتطريز(أكثر مردودية) و استمرت أنشطة الحرفيات ببولونيا

على شكل تعاونية لعمل المرأة، بقيادة الكونتيسة لينا بيانكوشيني

كافازا Lina Bianconcini Cavazza، وتلقت العديد من

النجاحات الدولية. تصاميم وأقمشة الصناعة التقليدية ببولونيا تم

الاحتفاظ بها  في متحف النسيج فيلا سبادا المتواجد بشارع

كزالية رقم 3  في بولونيا.

Villa Spada, sito in via di Casaglia n.3 a Bologna

I gioielli ellenistici nel regno di Alessandro

3 Mar
Orecchino a navicella. Museo Archeologico di Taranto

Orecchino a navicella.
Museo Archeologico di Taranto

In base alle epoche storiche dell’antica Grecia (geometrica, tardo-geometrica, arcaica e via dicendo), il valore attribuito ai metalli è di molto cambiato. Il fatto che le tecniche iniziali rendessero difficile anche la lavorazione del bronzo, prima ancora che degli altri metalli, fa si che questo materiale venisse considerato prezioso e particolarmente pregiato. Solo con l’età arcaica (tra VII e VI secolo a.C. ) fece il suo ingresso sulla scena l’argento, grazie al progresso nelle tecniche di lavorazione, la disponibilità e il valore di scambio ad esso attribuito (l’argento viene utilizzato per coniare le monete).

Dell’oro, però ancora non c’era traccia, o meglio, c’era, ma, a causa della sua scarsità nei giacimenti, la sua presenza era molto marginale. Il suo utilizzo, infatti, era molto limitato, perciò le fonti rivelano solo piccoli, minimi oggetti molto rari che stavano ad indicare una ricchezza accessibile solamente alle classi sociali più alte.

Una svolta significativa si percepì a partire dal VI secolo a.C. con la riorganizzazione e con l’espansione dello stato macedone da parte di Filippo II. La graduale messa in circolazione delle requisizioni persiane portò notevoli quantità d’oro in Grecia e anche un grande interesse per l’oreficeria più raffinata. L’oro, che veniva estratto dai giacimenti traci, divenne così sempre meno caro e fu utilizzato anche per il conio delle monete. Cominciò a farsi largo, pian piano, una vera e propria moda, un ideale di lusso liberamente ostentato dalle donne che avevano la possibilità di ornarsi letteralmente dalla testa ai piedi. Gli abiti, infatti, erano necessariamente connessi con il gioiello poiché fibule, spilloni e cinture non avevano solo funzione decorativa, bensì funzionale. I calzari erano spesso impreziositi da gemme e ricamati mentre le acconciature erano ornate da diademi e fasce.

I gioielli di questo periodo erano caratterizzati da una resa naturalistica ma idealizzata: le foglie, i rovi intricati, i petali, gli animali rispondono tutti a regole di perfetta simmetria, di procedura canonica e sono riccamente decorati.

Obbedivano, perciò, ai canoni classici che caratterizzano tutta l’arte greca. Le tecniche di granulazione, filigrana, fusione ed incisione probabilmente erano state acquisite dai gioiellieri  macedoni o egizi.

Le collane non erano quasi mai portate al collo ma indossate da spalla a spalla, cucite o comunque fermate tramite spille sui vestiti e ricadevano sul petto con pendenti in oro a forma di lancia, rosetta, ghianda o testa. Gli orecchini erano presenti in diversi modelli ma i più diffusi in epoca classica erano quelli a pendente e quelli a mezzaluna che venivano inseriti nel lobo e ruotati che terminavano con una testa umana  o di animale sbalzata che andava, così, ad appoggiarsi all’orecchio.

Ma epoca ancor più felice fu quella ellenistica inaugurata da Alessandro Magno, figlio di Filippo II, che portò avanti il progetto espansionistico cominciato dal padre in Grecia approfittando della crisi dell’Impero persiano.  I saccheggi e le nuove conquiste territoriali portarono sempre più oro ma anche nuove tecniche e diverse pietre preziose. Entrò, così, nella storia del gioiello greco anche la policromia. I modelli vennero rivisitati e arricchiti da corniole, smeraldi, granati e decorazioni in oro. Il  caso degli orecchini “a navicella”, che già avevano fatto fortuna nel periodo immediatamente precedente, è un ottimo esempio: se prima erano costituiti da un corpo ricurvo e cavo piuttosto semplice, saldato su un filo che passava attraverso il foro all’orecchio, negli anni si incrosta sempre più di decorazioni in oro, in filigrana o granulazione, e sferette d’oro.

Il preciso lavoro di intaglio ed incisione praticato sui metalli, venne esteso alle pietre preziose: smeraldi e granati, in particolare, venivano incisi con grande maestria seguendo i temi e gli stili della scultura e della pittura contemporanea grazie all’utilizzo di trapani e punte di diamante per i dettagli minuti. Le pietre con sigillo girevole di corniola imperniati su chiodo ribattuto erano già diffusi ma avevano funzione pratica. Il nuovo utilizzo della pietra, invece, diede origine ai cammei scolpiti a rilievo, che nacquero proprio in quel momento storico, con funzione esclusivamente decorativa. Il soggetto doveva risaltare su un fondo di sardonica indiana, particolarmente apprezzata per le sue striature brune e biancastre.

Diversi nuovi motivi si affacciarono nell’arte orafa: il “nodo di Ercole” ereditato dal gusto egizio, fece la sua comparsa su bracciali, fibule e diademi, mentre serpenti d’oro cominciarono ad arrampicarsi su braccia, polsi e falangi.

Il nodo di Ercole, in oro o in pietra, era particolarmente apprezzato per il suo significato: veniva associato al matrimonio o ai riti di passaggio, avendo funzione di amuleto.

diadema rinvenuto nelle reali tombe di Verghina, indossato dalla moglie di Filippo II di Macedonia

diadema rinvenuto nelle reali tombe di Verghina, indossato dalla moglie di Filippo II di Macedonia

I braccialetti serpentiformi condividevano la scena con i più tradizionali bracciali a cerchio, in oro o cristallo di rocca con testine di animale, dette protomi, affrontate oppure a contrarié.

Gli orecchini a navicella vennero surclassati dal modello a disco, quindi aderente all’orecchio, arricchito da decorazioni e pendenti sospesi da catenelle.
I più importanti ritrovamenti di gioielli ellenistici sono stati trovati fuori patria, nel senso che si trovano a Taranto, in Puglia e in Crimea, che furono allora colonie greche.

Il più importante scavo, però, si trova a Verghìna, in Macedonia, ed ha portato alla luce tre tombe che probabilmente appartennero a Filippo II, al figlio Alessandro IV e ad una delle numerose mogli. All’interno di esse sono state rinvenute armi, suppellettili ma anche splendidi gioielli come diademi ispirati a corone di rovere e di mirto. Quest’ultima, in oro intarsiato con vetro, è considerata una degli ornamenti più belli dell’antichità e rappresenta un’armonia di fiori di api e di uccelli su palmette.

Autore: Silvia Marcassa

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Primavera, primavera, dove sei nascosta? Forse potrei trovarti in questo soffice nido di perline realizzato da Angelo Saccone?

30 Mar

Primavera, primavera, dove sei nascosta? Forse potrei trovarti in questo soffice nido di perline realizzato da Angelo Saccone?

Carissimi lettori, con un immenso abbraccio che spero vi riscalderà un poco, vi auguro di passare delle splendide vacanze di Pasqua e vi aspetto con nuovi strepitosi contenuti a partire dalla prossima settimana. Baci,

Silvia