Tag Archives: boutique

Cartier

19 Giu

Con la fondazione del marchio Cartier, la gioielleria ha scritto uno dei più gloriosi capitoli nella storia delle arti decorative. In un secolo e mezzo di produzione i gioiellieri non hanno mai sacrificato la qualità ed hanno dato vita a dei capolavori: collane, bracciali, perle e gioielleria di ogni tipo.

Louis-François Cartier nacque nel 1819 a Parigi, il padre era un produttore di corni per polvere da sparo. All’età di ventott’anni, L.F. Cartier subentrò a Picard nella direzione del laboratorio di Rue Montorgueil che rimase la sede fino al 1853, anno in cui trasferì  gli affari al numero 9 di Rue Neuve-des-Petits-Champs (che si trovava tra la Borsa e il Palais-Royal) e si specializzò nella vendita a soli clienti privati. Cartier non poteva certo immaginare la fama di cui avrebbe goduto più tardi e che il suo destino sarebbe stato quello di catturare lo splendore nascosto delle gemme concepite per luccicare sulla fronte dei re e sulle mani delle regine. Il fatto è che Cartier fu benedetto da un dono straordinario: l’opportunità di iniziare la sua collaborazione con il famoso stilista Charles Frédéric Worth, un eccentrico  che vestiva sempre alla maniera di Rembrandt (come anche Richard Wagner usava fare). Ciò avvenne nel 1859 quando aprì il suo nuovo showroom a Boulevard des Italiens. Lì, nel cuore pulsante di Parigi, Worth stava per lanciare la moda della crinolina e quello che risultò dall’incontro fu l’invenzione della haute couture. La comunione tra tessuto e pietre preziose segnò in quel momento l’inizio del connubio tra moda e arte del gioiello. Cartier fece dei suoi gioielli l’ultima componente dell’abito alla moda. Da quel momento in poi, la crême della società europea avrebbe bussato alla sua porta. L’unione di questi due universi, fu consolidata due generazioni dopo con il matrimonio di Andrée Worth, nipote del grande stilista, e il nipote di Cartier Louis Joseph.

Gioielliere dei re, re dei gioiellieri

Nel frattempo, nell’angusta sede di Rue Neuve-des-Petits-Champs, il marchio Cartier stava per realizzare il suo primo colpo da maestro.

L.F. Cartier aveva trentasei anni quando la Contessa di Nieuwerkerke entrò per la prima volta nel suo negozio nel 1855. Nel giro di tre anni, avrebbe acquistato presso il suo negozio qualcosa come cinquantacinque oggetti. Suo marito era il sovraintendente alle belle arti di proprietà di Napoleone III ed era, inoltre, amico della Principessa Mathilde, anch’essa nipote di Napoleone I. Fu così che anche la principessa scelse di commissionare alcuni gioielli a Cartier: cammei con teste di medusa, orecchini ecc. Infine anche l’imperatrice Eugénie, la moglie di Napoleone III, ordinò a Cartier un servizio da tè in argento.

Le prospettive di Cartier vennero stravolte: grazie all’enorme richiesta, traferì la sede a  Boulevard des Italiens, che si trovava a due passi da Palazzo Garnier, il cui stile napoleonico starebbe stato, più tardi, guardato come rappresentativo di quel periodo.

Bracciale "Les Èlephants" proveniente dalla collezione "Route des Indes". In oro giallo e pietre preziose tra cui rubini, zaffiri e smeraldi, fu disegnato nel 1989.

Bracciale “Les Èlephants” proveniente dalla collezione “Route des Indes”. In oro giallo e pietre preziose tra cui rubini, zaffiri e smeraldi, fu disegnato nel 1989.

Ovunque le corti inviavano ambasciatori per investigare sul lodato gioielliere che veniva celebrato da tutti e, a tempo debito, divenne il gioielliere per le occasioni speciali di un certo numero di famiglie reali. Ben cinquanta commissioni vennero finanziate, tra il 1904 e il 1939, che consacrarono Cartier fornitore ufficiale delle teste coronate d’Europa. Oltre a ciò, c’erano anche ordinazioni disposte dal Re Edward VII d’Inghilterra (in occasione del suo matrimonio Cartier dovette fornire ventisette tiare), da Alfonso XIII di Spagna nel 1904 e, l’anno seguente, da parte di Carlos I di Portogallo. Successivamente vennero eseguiti lavori per lo Zar Nicholas II nel 1907, per il re Paramindr Maha Chulalongkorn del Siam nel 1908 (che scelse dei braccialetti in quantità tale da riempire un vassoio!), per il re Giorgio I di Grecia nel 1909 ed infine anche per il re Zog di Albania nel 1939. Numerosi furono pure quelli per Edward VII, al tempo ancora principe del Galles, che descrisse Louis Cartier come “il gioielliere dei re oltre che re dei gioiellieri”.

L’audace originalità del genio

Il fondatore della casa Cartier era dotato non solo di un appassionato amore per le pietre preziose ma anche di un gran senso degli affari. Solo Cartier seppe combinare (scelta azzardata all’epoca) modelli etruschi, greci e romani con dei design moderni. Trasse ispirazione anche dalle sculture, in particolare “La danza” di Jean-Baptiste Carpeaux, ma anche dal mondo animale e marino (cavalli, farfalle, granchi). La forza creativa di Cartier stava proprio nell’abilità di combinare infinite varietà stilistiche con la purezza nelle linee, senza mai violare i dettami delle convenzioni dell’epoca. Questo rappresentava l’audacia del genio, quando invece gli altri grandissimi nomi della gioielleria – Eugène Fontenay, Charles Christofle e Fortunato Pio Castellani- subivano tutti l’influenza dell’esposizione della Campana Collection del 1861, al Louvre che  consisteva in antiche opere d’arte poco prima acquistate da Napoleone III.

Pendente con dea dal vestito drappeggiato in stile rinascimentale contornata da una struttura in oro , argento e pietre preziose. Appesa a questa cornice, una perla a goccia. Cartier, 1900.

Pendente con dea dal vestito drappeggiato in stile rinascimentale contornata da una struttura in oro , argento e pietre preziose. Appesa a questa cornice, una perla a goccia. Cartier, 1900.

Rue de la Paix

Nel 1874 Alfred Cartier (1841-1925) assunse la gestione del negozio del padre in Boulevard des Italiens e nel 1898 fu affiancato dal figlio Louis Joseph (1875-1942), che fu l’ultimo ad ereditare il sesto senso per gli affari del nonno Louis-Francois e colui che trasferì la firma in una nuova era.

Prima di tutto spostò la sede in Rue de La Paix, simbolo del lusso a Parigi, e qui, nella strada più elegante del mondo, socializzò con il profumiere Guerlain e con gli stilisti Frédéric Worth e Jacques Douce. Fu il momento in cui emerse una diffusa esigenza di novità. I gioiellieri come Charles Lalique promossero lo stile dell’Art Nouveau in cui le influenze orientali venivano combinate con le innovazioni tecniche europee; tuttavia Louis Cartier non condivise il generale entusiasmo per lo stile che si stava diffondendo per l’europa e fiorendo a Vienna, Bruxelles e Parigi sotto una varietà di nomi diversi: Secessione, Jugendstil e style nouille. La sua riluttanza nell’abbracciare completamente l’Art Nouveau come fecero, al contrario, i suoi colleghi, determinò la direzione che avrebbe preso l’intero design di Cartier. Louis Cartier era più inclinato alla tradizione: passava le notti a leggere con entusiasmo le raccolte d’arte francese del diciottesimo secolo, a studiare dipinti, bronzi e merletti. Allargò il campo dei suoi interessi anche ai motivi arricciati e aggrovigliati dell’arte islamica. Il suo scopo era quello di cogliere la semplicità e la purezza della linea che avrebbe esaltato il motivo floreale che nell’Art Nouveau era troppo stilizzato e deforme per i suoi gusti. La sua ossessione però erano i diamanti: era alla continua ricerca di metodi per esaltare le pietre a discapito delle montature, per fare apparire le prime al massimo della loro lucentezza. Proprio andando a scavare nella tradizione francese, nacque il famoso “stile a ghirlanda” che Cartier realizzava prevalentemente su platino creando curve fluenti che parevano disegnate con il compasso e in cui anche i vuoti giocavano una ruolo importante nella composizione. La continua ricerca verso la brillantezza pura, lo portò a realizzare creazioni che non oscurassero in nessun modo la pietra, giunse a concepire, perciò, i motivi a fiocco, a merletto e a nappa che rappresentano gli elementi distintivi di uno stile che ricercava un’alternativa all’imperante moda dell’Art Nouveau. Louis Cartier riuscì a portare nella sua era un rinnovato classicismo che avrebbe presto attirato un esercito di ammiratori dai gusti esigenti.

Elizabeth Taylor indossa un collier Cartier realizzato nel 1969. A fianco la "Adéle necklace" composta da 291 diamanti.

Elizabeth Taylor indossa un collier Cartier realizzato nel 1969. A fianco la “Adéle necklace” composta da 291 diamanti.

Parigi, Londra, New york

Dato il successo raggiunto, la firma decise di varcare i confini per incontrare nuovi clienti. I due fratelli di Louis, Jacques e Pierre, aprirono rispettivamente le loro filiali a Londra e a New York. Balenò in loro l’idea di aprire un outlet a San Pietroburgo, seguendo la scia del grande Fabergé molto amato in Russia e in onore del quale la casa Cartier realizzò alcune uova alla sua maniera e piccole sculture tempestate di pietre,  ma infine decise semplicemente di inviare un rappresentante fisso in Russia, scelta azzeccata, visti gli sconvolgimenti politici imminenti. Un’altra scelta azzeccata fu quella di adattare i gioielli alla nuova moda del 1900 che stava attraversando una rivoluzione: gli abiti dalle linee dritte e semplici da tutti i giorni, potevano essere impreziositi da lunghi pendenti e luminose perle. Le perle, in effetti, negli anni che precedettero la prima guerra mondiale, surclassarono le tiare, allora diffusissime, ma troppo appariscenti e lussuose, perché sembravano più modeste ed appropriate. Il mercato delle perle subì un arresto con la crisi del ’29, ma nel frattempo cominciarono ad arrivare le perle giapponesi che, nonostante l’inferiore qualità, ebbero larga diffusione assieme a quelle nere di Tahiti. Due fili di perle di Cartier, valutati un milione di dollari, permisero alla società di acquistare la casa del banchiere Morton F.Plant lungo la Fifth Avenue, nel cuore di New York e di trasferirvisi.

Collana "Tutti Frutti" in platino con smeraldi, zaffiri, e rubini incisi a forma di foglie e frutti. I tredici zaffiri pendenti sono a taglio "briolette". Cartier, Parigi, 1936

Collana “Tutti Frutti” in platino con smeraldi, zaffiri, e rubini incisi a forma di foglie e frutti. I tredici zaffiri pendenti sono a taglio “briolette”. Cartier, Parigi, 1936

I balletti russi

Negli anni la maison Cartier aveva affinato il suo stile. Nonostante la riluttanza nei confronti dell’Art Nouveau, i tre fratelli erano molto sensibili agli stimoli esterni. Nel 1909 aderì al marchio Cartier il talentuoso progettista Charles Jacqueau, appassionato di orientalismi e sempre alla ricerca di ispirazione. Folgorato dalla compagnia di ballo Diaghilev/Nijinski, estasiato in particolare dalle giustapposizioni di colori vivi e contrastanti e dalle combinazioni delle scenografie,riversò nei gioielli che furono arricchiti da pietre colate, come ametiste, zaffiri e smeraldi, ma anche da pendenti cinesi e giapponesi, trasformando la produzione Cartier. Da queste audaci combinazioni nacque, per esempio il Peacock-design, molto apprezzato dalla Viscontessa Astor che fu anche la prima ad indossarlo.

Louis Cartier continuò a sperimentare traendo ispirazione dalle cose più varie ed umili, come ad esempio le retine per capelli, per costruire montature più flessibili. Le sue creazioni, se da un lato potevano sconcertare il pubblico, dall’altro potevano anche suscitare in lui un grande fascino.

Orologio da polso squadrato in oro e platino il cui quadrante è tempestato di brillanti. Il bracciale è composto da perle e onice. Cartier, Parigi, 1912.

Orologio da polso squadrato in oro e platino il cui quadrante è tempestato di brillanti. Il bracciale è composto da perle e onice. Cartier, Parigi, 1912.

Cartier time

Operando nel settore del lusso e della gioielleria, era inevitabile che la firma avrebbe sviluppato un interesse per l’orologeria. Nel lontano 1904 Louis Cartier aveva prodotto un orologio come tributo per il coraggio dell’aviatore brasiliano Santos Dumont. Con le sue linee pulite che evocano la velocità, quel modello fu messo in commercio nel 1911. Qualche anno più tardi arrivò il modello “Tank”, la sua forma squadrata si ispirava direttamente alle macchine militari che, sfortunatamente, sembravano avere un promettente futuro. Nei laboratori Cartier l’ingegnoso Maurice Coüet fece un gran balzo in avanti con la linea dei “Mistery clocks”, basati su un sistema sviluppato  da Jean Eugene Robert Houdin durante la metà del diciannovesimo secolo. Le lancette di questi orologi parevano fluttuare all’interno della superficie trasparente. Il meccanismo che le regolava semplicemente spariva alla vista e le lancette sembravano muoversi da sole, come per magia. In realtà, ogni lancetta era fissata in un disco di vetro dentellato mosso da una vite, così il meccanismo rimaneva nascosto nella base. L’illusione creata – insieme al senso palpabile del passare del tempo- faceva di questi orologi degli oggetti affascianti. I “Comet Clocks”  gli orologi a colonna e a pendolo, i “Turtle clocks, i “Chimaera Cloks” ecc.  sfruttavano la forza di gravità trasformata in un intricato sistema di ingranaggi. Alcuni di questi orologi sarebbero stati visti non solo come dei capolavori dei loro inventori ma anche come vanto per l’intera orologeria.

Turtle-Chimaera mystery table clock. Cartier, Parigi, 1943.

Turtle-Chimaera mystery table clock. Cartier, Parigi, 1943.

Panthera pardus

Durante la depressione successiva al crollo del ‘29, Louis Cartier trovò un’ottima alleata in Jeanne Toussaint. Amica di Coco Chanel, questa donna straordinaria, più tardi soprannominata “la pantera”, ebbe il totale controllo delle creazioni Cartier per un periodo di circa vent’anni. Nonostante non sia mai stata una designer, era talentuosa e fu molto apprezzata.  Nel 1933 jeanne Toussaint si occupò di alta gioielleria. Negli ultimi anni dell’Art Deco fece della pantera un oggetto di culto, una sorta di marchio. Era sempre alla ricerca di nuove idee e, sotto la sua direzione, il reparto tecnico sviluppò una serie di invenzioni destinate a combinare la solidità della costruzione con la comodità dell’uso: fibbie, clips modellate sulle mollette da bucato, spille composte di più parti per poterle adattare/comporre. Cartier stava emergendo nel mondo della moderna produzione di accessori. Fu creato un nuovo “Department  S”, indirizzato alla produzione di lussuosi  oggetti da regalo e accessori pratici come orologi da taschino, cinture e accendini. Molte nuove linee vennero prodotte, anticipando la gamma “les must de cartier” introdotta nel 1973. Era un nuovo mondo, un nuovo settore, un tentativo di provvedere al  contemporaneo settore delle merci di lusso.

"Jooghi brooch" incrostata da 453 brillanti e 68 zaffiri. Cartier, Parigi,1988.

“Jooghi brooch” incrostata da 453 brillanti e 68 zaffiri. Cartier, Parigi,1988.

Quando sia Louis che Jacques persero i loro business nel 1942 con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la gestione della firma in Rue de la Paix, passò a Jeanne Toussanit e Pierre Lemarchand. Insieme, i due, cercarono l’ispirazione allo zoo di Vincennes, ma siccome il bestiario di Cartier era già riccamente fornito di pantere, zebre e gusci di tartaruga usati sia come base per il design, sia come sfondo su cui sviluppare altre creazioni, la collezione fu incrementata ulteriormente con oggetti presi in prestito dal mondo della flora e della fauna dell’Asia. Draghi e chimere erano utilizzate per abbellire orologi da tavolo, spille e pendenti, ma anche elementi simbolici provenienti dall’estremo oriente e dalla Germania furono introdotti per la prima volta nel repertorio di Cartier. Nel 1954, infine,  Jeanne Toussant rintrodusse il chimera style che era stato enormemente popolare nel 1920, ma la novità ora era rappresentata dal fatto che addomesticava i mostri e li trasformava in adorabili animali domestici. Furono immediatamente adottati dalla Baronessa D’Erlanger e dall’Onorevole Mrs Fellowes,  entrambe appassionate di gioielleria artistica.

Spada accademica di Jean Cocteau. Guardia modellata sul profilo di Orfeo, impugnatura culminante con una lira nella quale è incastonato uno smeraldo donato da Coco Chanel. Sul dico in avorio alla base dell'elsa appare una stella a sei punte con rubini a cabochon con al centro un diamante fornito da Francine Weisweiller. Archivio Cartier.

Spada accademica di Jean Cocteau. Guardia modellata sul profilo di Orfeo, impugnatura culminante con una lira nella quale è incastonato uno smeraldo donato da Coco Chanel. Sul dico in avorio alla base dell’elsa appare una stella a sei punte con rubini a cabochon con al centro un diamante fornito da Francine Weisweiller. Archivio Cartier.

Clienti leggendari

Aprono la lista il duca e la duchessa di Windsor. Nel 1948 il duca commissionò una spilla con pantera per la moglie. Il gioiello consisteva in una pantera in oro, un leopardo in realtà, il cui mantello è picchiettato di minuscole pietre preziose, sdraiata su uno smeraldo cabochon del valore di 116.74 carati. Questa pantera tridimensionale fu la prima della serie. Negli anni successivi, di nuovo i Windsor richiesero uno zaffiro cabochon decorato con un leopardo seduto incrostato di diamanti e zaffiri. L’Onorevole  Fellowes, che competeva con la duchessa di Windsor per il titolo di donna meglio abbigliata del mondo, ne commissionò per sé una di simile. Nel 1957, la principessa Nina Aga Khan fu la destinataria del più prestigioso gioiello tra quelli della serie pantera: una spilla pendente da jabot e un bracciale con due teste di leopardo.

Tra gli esponenti di spicco francesi, i marescialli Foch e Petain si rivolsero a Cartier per i loro bastoni e spade da cerimonia. Il primo membro dell’Académie Française a richiedere i servizi di Cartier come creatore di spade, fu il duca di Gramont nel 1931. La sua fu la prima di una lunga serie di spade accademiche prodotte da cartier, tra le quali si annovera anche quella per Jean Cocteau:  nel 1955, il poeta commissionò una spada da lui disegnata ispirata al tema di Orfeo. Il suo stile ebbe una sostanziale influenza sulla produzione successiva di cartier. Fu proprio Cocteau a definire Cartier “uno scaltro mago in grado di catturare un pezzo di chiaro di luna insidiato da un raggio di sole”. Cartier gli donò un anello fatto di tre fasce d’oro, ognuna in un diverso e simbolico colore -grigio per l’amicizia, giallo per la costanza e rosa per l’amore- un pezzo originale di rara semplicità e perfezione.

Collana di diamanti con smeraldo rettangolare. Cartier, Londra, 1932.

Collana di diamanti con smeraldo rettangolare. Cartier, Londra, 1932.

Cartier e le arti

Nel 1983 Cartier decise di istituire una personale retrospettiva. Può sembrare paradossale che la firma che aveva sede a Rue de la Paix, non possedesse esempi delle  proprie creazione. Per organizzare l’esposizione, il curatore della collezione Cartier Eric Nussbaum mise insieme 1500 pezzi, con estrema difficoltà, dovendo ricorrere ad aste e vendite private dato che in ogni famiglia i gioielli sono  l’ultima cosa che viene venduta. I pezzi del diciannovesimo secolo, in particolare erano pochi, poiché si usava scomporre e rimodellare pezzi antichi in favore di forme più moderne.

Grazie all’esistenza di una collezione d’archivio in espansione, delle favolose esposizioni sono state organizzate in tutto il mondo, sotto l’egida di Franco Cologni, il vice-presidente Cartier, a partire dalla celebrazione del centocinquantesimo anniversario della firma, nel 1997. In quell’occasione il MET di New York e il Brithish Museum di Londra allestirono congiuntamente un’importante esposizione sponsorizzata da Cartier. Negli ultimi anni i temi hanno incluso il potere dei segni, la grandezza dell’Egitto e i misteri dell’india.

Nel 1984, il presidente della compagnia Alain Dominic Perrin, decise di istituire la Fondazione Cartier per l’Arte Contemporanea. In collaborazione con l’architetto Jean Nouvelle mise mano al progetto di disegnare la struttura a Boulevard Raspail, dimostrando che l’arte del passato poteva convivere in modo appropriato con una moderna architettura dove, ancora una volta i meccanismi erano nascosti: la vera incarnazione dello spirito della casa Cartier.

(Il testo è frutto di una sintesi e di una traduzione libera del volume “Cartier” dello scrittore ed architetto Philippe Trétiack (reporter di Elle Magazine). Le immagini riportate sono tratte anch’esse da questo volume. Edizione Assouline, New York, USA, 2004.)

Autore: Silvia Marcassa