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Fiori esotici e fiocchi nei gioielli del Barocco europeo

16 Giu

All’inizio del XVII secolo si assiste al declino dell’influsso spagnolo sulla vita delle corti europee e al contemporaneo emergere dell’egemonia stilistica francese. Intorno al 1630 la moda trasforma gli abiti in vaporose vesti generosamente scollate con maniche rigonfie, mentre le capigliature, lasciate scendere sulle spalle in morbidi boccoli appaiono agghindate in forme meno austere. Sono costantemente presenti le perle, che apparentemente soppiantano quasi del tutto altri ornamenti, almeno per un breve periodo. Si intende inoltre ad enfatizzare le gemme, disposte in modo simmetrico e astratto, in sostituzione delle figure scolpite e smaltate preferite nelle precedenti montature.

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fig.1. Incisone da un disegno di Jean Toutin. V&A Museum

L’ispirazione è spesso dettata dalla botanica, in particolare quando è associata alle nuove tecniche d’uso dello smalto. La tecnica per dipingere a smalto in vari colori sull’oro viene sviluppata nei primi decenni del secolo da Jean Toutin (1578-1644), originario di Chateaudun e perdurò fino alla fine del ‘600. Egli, come altri orafi francesi, eseguiva disegni preparatori, che venivano poi diffusi nel resto d’Europa tramite incisioni, tuttora conservate presso i più importanti musei di arti applicate. Fig.1-2

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Fig.2. Incisione da un disegno di Jean Toutin. V&A Museum

Lo strato iniziale era in genere bianco opaco, azzurro chiaro o nero e in molti pezzi si riscontra in fatti solo questa combinazione cromatica, ma i pittori su smalto più abili ottenevano comunque con un’ampia tavolozza cromatica e sottili pennellate, delicati fiori, paesaggi e scene religiose o allegoriche. Le casse e i quadranti degli orologi si prestavano in particolar modo a questo trattamento e venivano quindi decorati sia all’esterno che all’interno. Talvolta la parte anteriore del gioiello era decorata a smalto e con diamanti, ma più spesso la smaltatura era impiegata per la parte posteriore, più adatta in quanto la montatura chiusa sul retro forniva una superficie piatta.

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fig.3. Pendente con cassa smaltata di Jean Toutin. V&A Museum

Le principali tecniche impiegate per la realizzazione di questi pezzi in smalto, in stile “Cosse-de-pois”, erano il “email en ronde bosse” e il “champlevé”. Fig. 3
Lo studio della botanica e i fiori esotici che cominciano ad arrivare in Europa suscitano grande curiosità e interesse da parte delle classi abbienti e diventano fonte di ispirazione per artisti e artigiani. L’osservazione approfondita delle piante venne quindi applicata anche alla pittura e alle arti decorative, tendenza che perdurò fino alla seconda metà del XVII secolo. Questa passione ha lasciato splendide tracce nei tulipani, gigli, rose e fritillarie, incisi o dipinti con smalti policromi su medaglioni, miniature, casse di orologi e sul retro dei gioielli. I fiori sono un tema costante nelle incisione e nei libri, provenienti soprattutto dalla Francia e dalla Germania, che riproducono i modelli dell’arte orafa e ci permettono di ricostruire cronologicamente l’emergere di particolari tendenze, giacché gran parte dei gioielli dei secoli XVII e XVIII è andata perduta.

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fig.4. Pendente in oro, argento e granati. Spagna, fine ‘600. Collezione Silvia Fini

In Spagna i motivi barocchi provenienti dalla Francia stentano ad affermarsi: negli ornamenti persiste infatti l’ispirazione religiosa con pendenti, croci, reliquiari o simboli dell’inquisizione o dell’ordine di Santiago. Fig. 4-5

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fig. 5. Retro del pendente (fig.4) smaltato su oro

Questi gioielli venivano indossati sia dagli uomini che dalle donne, come anche complesse e lunghe catene indossate su una spalla e in diagonale sul petto, di moda fin dalla seconda metà del XVI secolo. Finalmente poco prima del 1700, si diffonde lo stile barocco, che verrà apprezzato per un altro secolo.
Il fiocco è uno dei motivi più diffusi nella gioielleria barocca e deriva forse dai nastri con i quali un tempo si fissavano i gioielli. Nei ritratti eseguiti dalla metà del secolo appaiono spesso montati sopra pendenti, spille e orecchini. In genere sono decorati con pietre tagliate a tavoletta o a rosetta sulla parte anteriore e con smalto dipinto sulla parte posteriore. Fig.6

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Fig.6. Disegno preparatorio per due oendenti: uno a croce con decorazione floreale e l’altro a fiocco. XVII secolo. V.& A. Museum

I modelli di spille a fiocco con le cocche particolarmente appuntite e rivolte in basso divennero noti con la denominazione di Sévigné, in riferimento alla scrittrice francese Madame de Sévigné. Fig. 7 I fiocchi spiccavano anche nelle collane a nastro e nei braccialetti realizzati con nodi d’oro smaltato.

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Fig.7. Madame de Sévigné (1626-1696) ritratta da Claude Lefèbvre (1637-1675)

Verso la fine del secolo si diffuse la moda delle cosiddette Brandenburg, lunghe spille orizzontali, analoghe alle Sévigné, ma con una disposizione più compatta delle pietre e una forma più allungata lateralmente. Spesso si indossavano insieme varie spille coordinate, disposte lungo il corpetto in ordine di dimensione.

Autore: Silvia Fini
Articolo pubblicato su:
l’Informatore Europeo d’Arte e di Antiquariato

Race Style Party

9 Mag

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Il 2 giugno, in occasione del 70°
Gran Premio della Repubblica

l’ippodromo Arcoveggio di Bologna si veste a tema “Race Style” per ricreare l’atmosfera degli anni d’oro della sua fondazione. Si tratta di un evento ascot3d’importanza nazionale, che vede una delle gare al trotto più appassionanti dell’anno, con l’anteprima della mostra in occasione degli ottantacinque anni dalla fondazione. Prima e dopo la gara, che vedrà la premiazione del campione nazionale, sarà possibile ammirare una sfilata di moda vintage, per rivivere quello che rappresentavano gli eventi ippici nella cultura bolognese dei primi anni del Novecento.
Andare all’ippodromo significava partecipare ad uno dei più lussuosi eventi mondani, in cui esisteva un vero e proprio dress code e dove era possibile ammirare le tendenze più chic della moda da giorno: per le donne un vestito da cerimonia pomeridiano con cappello, per gli uomini un abito nero o grigio con pantaloni normali o a righe, un panciotto e un cappello a cilindro. ascot
Tutti i partecipanti che aderiranno al dress code, avranno la possibilità di realizzare foto in ambientazione vintage da condividere sui social.

Scarica da qui il tuo ingresso omaggio:Volantino-gp-rep

Organizzatore: Silvia Fini cell. 3661221360
Presso: Ippodromo Arcoveggio di Bologna Ingressi: Via dell’Arcoveggio, 37/2 e Via Corticella, 102
Giorno: 2 giugno (festa della Repubblica)
Orario: 15,30 – 18,30
Bambini: animazione gratuita
Parcheggio: a pagamento all’interno della struttura
Evento su facebook: https://www.facebook.com/events/1955302488022069/

 

Andrew Grima

10 Lug

Nel dopoguerra il Regno Unito conobbe la sua peggiore crisi economica, politica e morale di tutti i tempi. Anche se la guerra era stata vinta, il prezzo pagato fu spaventoso. La crisi che gli inglesi affrontarono si protrasse per tutti gli anni ’50.

Andrew Grima, 1972

Andrew Grima, 1972

Il paese iniziò la decade successiva in sordina, ancora sopraffatto dalla depressione economica. Ben presto però, il paese vide un futuro al di là del buio degli anni trascorsi nell’austerità dettata dalle dure politiche economiche. Due eventi avvennero, nello stesso giorno del 1962, grazie ai quali la nazione tornò alla ribalta. Il 5 ottobre uscì il primo 45 giri dei Beatles, “Love me Do”. I 4 ragazzi di Liverpool con quel disco diedero inizio a una rivoluzione culturale e sociale. Energia e vitalità scossero la severità che per tanti anni attanagliarono il Regno Unito.
Ancora più importante fu l’uscita nelle sale cinematografiche della prima e acclamatissima pellicola di “Agente 007 – Licenza di uccidere”. Si ricorderà quindi un affascinante Sean Connery nei panni di James Bond e di un’ancora più intrigante Ursula Andress, prima Bond Girl della storia, creando anche una nuova immagine di donna sensuale e mozzafiato.
Questi avvenimenti riportarono Londra sulla cresta dell’onda, tornando ad essere una delle capitali più alla moda degli ultimi tempi.

Spilla in oro e diamanti, Andrew Grima, 1973

Spilla in oro e diamanti, Andrew Grima, 1973

La libertà e la creatività si diffusero nella capitale inglese. Anche l’abbigliamento venne selvaggiamente modificato. Artefice fu Mary Quant che dal 1965, immise sul mercato la minigonna e stravolse il modo di vestire la donna. Anche i colori divennero vivaci e contrastanti rispetto al classico abbigliamento color “fumo di Londra” che vestiva la società inglese.
È in questo clima di libertà che anche la gioielleria trovò un nuovo modo di esprimersi nella figura e nel genio creativo di Andrew Grima. Mai nella storia del gioiello si videro pezzi così all’avanguardia, diversi da tutti quelli che erano stati ideati e prodotti fino a quel momento.

Il suo stile, a differenza di quello consueto, proponeva pezzi fuori dall’ordinario. Le sue creazioni erano caratterizzati da oro lavorato e rocce non convenzionali creando effetti straordinari.
I metalli, specialmente l’oro, venivano lavorati imitando texture organiche, dalle rocce alle corteccie di alberi, da ramoscelli ai frastagliati contorni di stalattiti e stalagmiti.

Ursula Andress indossa i gioielli disegnati da Grima vincitori del Duke of Edinburgh Prize nel 1966

Ursula Andress indossa i gioielli disegnati da Grima vincitori del Duke of Edinburgh Prize nel 1966

Grima si ispirava all’intero mondo organico e naturale, utilizzando proprio elementi naturali per creare gli stampi in cui venivano colati i metalli fusi. A completare i pregiati pezzi venivano accostate pietre preziose o meno. Non era raro vedere insieme pietre di poco valore e diamanti. Grima mise, quasi sempre, in secondo piano diamanti e altre pietre preziose. Queste servivano a dare luce alle pietre semi-preziose e alle delicate texture dei metalli lavorati.
Rivoluzionò il mondo della gioielleria, scavalcando la tradizione e i gioielli stereotipati. Non si può rimanere che senza parole davanti ai gioielli di Andrew Grima.

Grima nacque nel 1921 a Roma da padre maltese e madre italiana compiendo gli studi al St.Joseph College a Londra. Prestò servizio nella Seconda guerra mondiale in India e Birmania come ingegnere dopo aver studiato all’Università di Nottingham. Nel 1946 si unì al futuro suocero nella sua gioielleria a Londra. Grima che non aveva avuto una preparazione in oreficeria o design, meravigliò tutti quando presentò la sua prima improvvisata collezione creata da una valigia piena di pietre semi-preziose grezze comprata da un venditore brasiliano.

Andrew Grima, Spilla in oro e diamanti, 1968circa

Andrew Grima, Spilla in oro e diamanti, 1968circa

Dopo la morte del suocero, nel 1951, Grima vendette l’azienda a un compratore di pietre con la clausola di rimanere come designer, sperimentando su materiali e disegni finché non gli furono commissionati dei pezzi basati su modelli in cera disegnati da scultori come Kenneth Armitage, Elisabeth Frink e Bernard Meadows per un’esposizione di gioielleria moderna nel 1961, organizzata dalla Worshipful Company of Goldsmiths.

Grima offrì a Graham Hughes, il curatore della mostra, alcuni dei suoi pezzi e lui colpito da questi, lo introdusse a nuovi potenziali ricchi clienti. Tra i clienti più importanti si contano Jacqueline Onassis, la scultrice Barbara Hepworth, la prima Bond girl Ursula Address e soprattutto Lord Snowdon, con cui stringerà un lungo e duraturo rapporto di amicizia, grazie al quale Grima diventerà il gioielliere della famiglia reale, creando gioielli per la Principessa Margaret, moglie del Lord Snowdon e per la Regina Elisabetta II. Si può ricordare tra le preziose opere d’arte, la spilla in oro con rubini e diamanti, comprata dal Principe Filippo di Edimburgo e regalato a sua moglie, la Regina, nel 1966, che fece molte apparizioni sulle vesti e sui cappotti della sovrana inglese in svariate occasioni, come il messaggio natalizio televisivo della Regina nel 2007 proprio il giorno antecedente alla dipartita del gioielliere.

La Regina Elisabetta II indossa la spilla di Grima in oro con rubini e diamanti regalata dal marito il Principe Filippo nel 1966

La Regina Elisabetta II indossa la spilla di Grima in oro con rubini e diamanti regalata dal marito il Principe Filippo nel 1966

La bellezza, l’eleganza e l’originalità che Grima rifletteva nei suoi pezzi lo portò a vincere numerosi premi, tra cui il “Duke of Edinburgh Prize for Elegant Design” per la prima volta ottenuto da un gioielliere. La fama e la ricchezza ricavata dalla vendita di clienti facoltosi, lo portò ad avere negozi globalmente, aprendo a New York, Sydney o Tokyo. Di grande successo fu la collezione “About time” nel 1969 da lui ideata per l’azienda Omega. La collezione era formata da 85 orologi, ognuno dei quali era caratterizzato da un quadrante in pietra preziosa, invece che vetro, dallo stile unico.

Con i suoi gioielli fuori dall’ordinario, Grima sconvolse il mondo della gioielleria tradizionale, influenzando molte generazioni a venire. Dopo la morte nel 2007, le redini dell’azienda furono prese in mano dalla figlia Francesca, continuando con lo stile avanguardistico del padre.

Scorpio Watch, Andrew Grima per Omega, 1969

Scorpio Watch, Andrew Grima per Omega, 1969

Grima certamente non è un nome tra i più conosciuti, ma il suo nome come il suo stile, viene riconosciuto da poche persone, quelle che contano. I clienti che si possono permettere i costosissimi gioielli di Grima sono quelli che collezionano arte, sculture e dipinti e soprattutto collezionisti che vedono nei gioielli di Grima l’unicità e la bellezza.  Spesso nei grandi gioielli non c’è bisogno di guardare il logo o la firma per riconoscerne il fautore di quel piccolo pezzo d’arte. Come in pochi altri casi i gioielli di Grima sono talmente unici e iconici che si possono riconoscere anche da lontano.

Autore: Giulia Antonaz

Photo credits: pinterest.com; grimajewellery.com; gq-magazine.co.uk

Il movimento cubista nei gioielli, origini e influenze

5 Giu

” The hand of the artisan became an extension of that of the artist who was not a skilled metalsmith”

Alexander Calder

Il cubismo portò una vera e propria rivoluzione nel mondo artistico. Senza una miccia ben precisa della sua esplosione, si possono ricondurre al alcuni eventi la nascita di questo movimento. Il termine viene fatto risalire a un’osservazione di Henri Matisse, quando davanti a L’Estaque nel 1908 di Georges Braque, lo interpretò come un insieme di piccoli cubi. Da molti, Braque viene considerato il primo cubista della storia. Insieme a lui, nella fama di artista cubista, non ci si può certo dimenticare di Pablo Picasso. Con il quadro Les demoiselles d’Avignon,  provocò grande scalpore.

Les demoiselles d'Avignon, Pablo Picasso, 1907, MoMa, New York

Les demoiselles d’Avignon, Pablo Picasso, 1907, MoMa, New York

I due quadri considerati gli apripista del movimento cubista, influenzarono ben presto altri artisti e non solo.

Il cubismo ripropose la centralità degli elementi formali essenziali della pittura: lo spazio e la composizione. Direttamente influenzati dalle opere di Paul Cézanne, Picasso e Braque si rifecero ai tre moduli fondamentali: la sfera, il cono e il cilindro. L’esigenza era quella di mostrare la realtà non come appariva, ma nel modo in cui la mente ne percepiva l’apparenza.

A questo movimento e ad altre influenze durante il periodo delle avanguardie artistiche dei primi anni del Novecento, lo stile dell’Art Déco si ispirò per la creazione dell’architettura, della moda, della gioielleria.Cubismo, Fauvismo, e gli altri movimenti, si mescolavano nei nuovi gioielli, che cambiarono totalmente dallo stile floreale e armonioso dell’appena passato stile dell’Art Nouveau.

Anello con ritratto di Dora Maar, Picasso, 1936-1939

Anello con ritratto di Dora Maar, Picasso, 1936-1939

Nel 1925 all’Esposizione Internazionale di Parigi, una grande parte fu dedicata alla gioielleria. I gioiellieri crearono gioielli dalle forme semplice, angolari e geometriche, nei quali la decorazione superflua era ridotta al minimo o completamente abolita. Le loro creazioni assomigliavano sempre più a opere d’arte che a gioielli ornamentali.

E queste piccole opere d’arte, fatte sempre con pietre molto preziose, non erano ovviamente per tutte le tasche. I gioielli erano per lo più creati per la gente ricca ed elegante, sempre alla moda, e attenta alle varie tendenze artistiche.

Negli anni ’20 e nella decade successiva, non solo gioiellieri famosi, come George e Jean Fouquet, produssero gioielli ispirati alle linee cubiste. Alcuni degli artisti, promotori del movimento, si cimentarono nella creazione di gioielli. Un particolare esempio ne è il “tesoro” di Dora Maar, amante del grande artista cubista Pablo Picasso.

Le grand faune, Picasso e Francois Victor-Hugo

Le grand faune, Picasso e Francois Victor-Hugo

Alla morte della fotografa e artista croata, nel 1997, vennero trovati nell’appartamento oltre a un considerevole numero di disegni e dipinti, una rilevante quantità di gioielli che Picasso creò durante gli anni della loro relazione. Il “tesoro” raccoglieva anelli, spille, pendenti vari, decorati o incisi per lo più con ritratti della stessa, ma anche pietre o frammenti di ceramica e terracotta, usati come amuleti.

La produzione particolare di questi anni, non ha niente a che vedere con quella che sarà la collaborazione degli anni ’50 e ’60 con Francois Victor-Hugo. I gioielli per Dora Maar erano gioielli sentimentali, pezzi unici mai più realizzati. Differente fu la cooperazione tra Picasso e Hugo.

Spilla in oro e zaffiri, Braque e Barone Heger de Lowenfeld, 1960s

Spilla in oro e zaffiri, Braque e Barone Heger de Lowenfeld, 1960s

Incontratosi nel 1954, i due portarono avanti per quasi 10 anni, un sodalizio tra la mente dell’artista e l’abilità orafa del gioielliere, creando pezzi, medaglioni e pendenti che divennero piccoli segmenti creativi dell’artista.

Altro artista che si cimentò nel campo della gioielleria nei primi anni ’60, fu George Braque. Nel 1961 con l’aiuto dell’amico, il Barone Heger de Loewenfeld, creò la sua prima e unica collezione di gioielli.

Trasformò i suoi disegni bidimensionali, in piccole sculture portabili. I gioielli, per lo più oro, riprendono motivi di uccelli o di volti di donna stilizzati. La maggior parte dei lavori realizzati vennero poi presentati nel marzo del 1963, al Louvre con la mostra “Bijoux de Braque”.

Spilla, Vendome. 1960s

Spilla, Vendome. 1960s

L’artista, deceduto pochi mesi dopo dall’apertura dell’esposizione, ebbe così modo di vedere una mostra a lui dedicata.

I gioielli di questi due artisti, hanno una connotazione così decisa che anche per chi non se ne intende è possibile attribuire ogni pezzo al suo autore solo se conosce la produzione pittorica o scultorea dell’artista che l’ha ideato. Negli stessi anni non solo gli artisti che desideravano fare “arte indossabile”, si cimentarono nell’ideazione e creazione di gioielli cubisti. Molti gioiellieri si ispirarono a Picasso e Braque, per creare oggetti preziosi di ispirazione cubista. Tra i più famosi possiamo ricordare Vendome, operativo tra il 1944 e il 1979, creò alcune spille chiaramente ispirate a George Braque.
Molti negli anni si ispireranno alle linee cubiste che dai primi anni del ‘900 hanno influenzato e ancora influenzano oggi l’arte, la moda e anche i gioielli.

Autore: Giulia Antonaz

Photo credits: cultura.biografieonline.it; thejewelryloupe.com; artribune.com; morninggloryjewelry.com

A.V. Shinde

25 Mag

A.V. Shinde.

Lo stile gotico nell’oreficeria tra il Trecento e il Quattrocento

20 Mar

Tra il  XIII e il XIV secolo cominciarono a delinearsi in Europa nuove realtà sociali e nazionali. L’egemonia dell’Impero e del Papato che aveva dominato la scena sociale e politica iniziò a perdere il proprio potere. All’inizio del XIV secolo commercio e industria mutarono notevolmente l’aspetto e il modo di vivere della società. Sulle rive dei mari europei si innalzarono nuove città, creando nuovi porti che aumentarono gli scambi commerciali.Tanti commercianti presero il mare per importanti scambi commerciali, e quelli più audaci cercarono, organizzando spedizioni per il Levante o l’Africa, epiche avventure. In Italia, la spedizione più nota è quella dei mercanti veneziani Matteo, Niccolò e Marco Polo, le cui esperienze vengono narrate da Marco al ritorno dalla Cina, nel libro il Milione.

Corona della principessa Bianca di Lancaster

Corona della principessa Bianca di Lancaster

L’accrescimento della ricchezza e del progresso a cui le nuove città comunali dell’Europa stavano assistendo subirono una grave battuta d’arresto nel 1348. L’Europa viene colpita dalla tremenda piaga della peste, culmine di un periodo dominato da epidemie e carestie. La ripresa fu lenta e non ci fu più quella sicurezza economica e politica che prevalse nei secoli precedenti.

A causa del grave calo demografico, derivante dalla peste, la mano d’opera diminuì, facendo sì che salari e prezzi subirono rialzi, accentuando le differenze sociali. La gioielleria fu uno dei campi nei quali fu più evidente il divario tra le ricchezze possedute dalle persone.In questo periodo infatti cominciarono ad essere redatte leggi che consentivano l’uso dei gioielli solo ad alcune classi sociali.

Conseguentemente si cominciò a diffondere la produzione e l’uso di pietre false.Le imitazioni potevano essere realizzate in diversi modi: alcune erano fatte con alabastro reso in polvere, colorato e risolidificato; poteva anche essere incollato uno sottile strato di pietra autentica a una base falsa.

Paliotto del battistero di Firenze, Museo dell'Opera, Firenze

Paliotto del battistero di Firenze, Museo dell’Opera, Firenze

Che fossero falsi o autentici i gioielli del periodo gotico ripresero l’architettura dell’epoca. Caratterizzata da un forti rapporti geometrici matematici, gli stessi alla

base del Cosmo, ritenuti di origine divina, le strutture vennero interpretate come massima espressione del Cattolicesimo.Si ritrovano nell’oreficeria quindi forme appuntite, motivi e linee essenziali, caratterizzati da un’eleganza formale, oltre a imitazioni di guglie, pinnacoli, statuette e ampi trafori.

Traccia dell’altissima raffinatezza e del legame con l’architettura è la corona della principessa Bianca di Lancaster, un tripudio di perle e gemme. il prezioso ornamento è costituito da zaffiri, rubini e perle sua una base in oro decorata con smalti.

Altro legame tra culto e oreficeria è l’importanza che si dà alle pietre in quanto veicoli di proprietà spirituali e terapeutiche. Spesso le pietre preziose venivano forate nel mezzo per per favorire l’emanazione delle loro proprietà.

L’oreficeria gotica italiana ebbe Siena, quale città di maggiore fortuna, sviluppo e influenza. Esempio della tradizione che va a stabilirsi è il calice di Niccolò IV, attribuito alla abilità di Guccio Mannaia, in argento dorato decorato con smalti traslucidi, diventerà prototipo di tutti i calici gotici.

Calice di Niccolò IV, Guccio Mannaia, tesoro di S. Francesco, Assisi

Calice di Niccolò IV, Guccio Mannaia, tesoro di S. Francesco, Assisi

L’arte orafa Senese grazie alla facilità di trasporto dei gioielli arrivò quasi ovunque: dall’Umbria alla Sicilia, oltralpe influenzando le produzioni di Spagna, Francia e Inghilterra.

Oltre a Siena, importanti centri di produzione in Italia, furono Venezia, ancora influenzate dall’oreficeria bizantina e Firenze dove le opere sono di pura plasticità, come il paliotto del battistero di Firenze commissionato a Betto di Geri e Leonardo di Giovanni.

Nel resto dell’Europa, Francia e Germania produrranno pezzi orafi caratterizzati dall’unione delle forme architettoniche con le forme plastiche.

Durante il periodo gotico furono prodotti pezzi di grazia ed eleganza. Le maestranze orafe, esprimevano le loro abilità in spille, pendenti, anelli e collari.

Questi ultimi ebbero larga diffusione, grazie agli ordini cavallereschi. Sontuosi pezzi di gioielleria, erano composti da lamine concatenate di metallo prezioso decorati spesso con simboli relativi all’organizzazione

alla quale il cavaliere aveva giurato fedeltà.

Autore: Giulia Antonaz

Photo credits: pricescope.com, atlantedellarteitaliana.it, assisimuseodiocesano.com

Gemme e ori della corte bizantina

8 Mar

Nel V secolo, mentre l’Impero romano d’Occidente periva sotto le ondate barbariche, l’Impero romano d’Oriente, detto bizantino riusciva a superare indenne le invasioni. Diede vita ad una civiltà erede della mescolanza della civiltà latina ed ellenica.

Chiesa di Sant'Apollinare Nuovo, interno. Sec. VI. Ravenna

Chiesa di Sant’Apollinare Nuovo, interno. Sec. VI. Ravenna

Il periodo bizantino fu caratterizzato da un’evoluzione in molti campi artistici e da un alto livello di destrezza nel lavorare materiali e pietre preziose, complice le maestranze dei territori dell’Impero e le influenze che provenivano dalle civiltà che commerciavano con Bisanzio.
Il territorio imperiale era costituito da ricchi giacimenti d’oro nei Balcani, in Asia Minore e Grecia. Provenivano dall’India e dalla Persia, pietre preziose e perle.
Oltre ai ritrovamenti nelle tombe di gioielli di sorprendente fattura, testimonianze indirette sono le decorazioni musive negli edifici sacri e privati appartenenti agli individui di alto lignaggio.
Ravenna in particolare, divenuta capitale nel 476 d.C., ospita alcuni tra i mosaici più belli che l’arte paleocristiana abbia. Chiese come quella di San Vitale o San Apollinare Nuovo sono esempi dell’abilità delle maestranze artistiche. I mosaici di San Vitale danno prova anche della grande domanda di gioielleria richiesta in quel periodo dall’imperatore e dalla sua corte. L’arte orafa fu quella che ebbe uno sviluppo tecnologico maggiore.

Giustiniano, particolare. VI secolo. Chiesa di S. Vitale, Ravenna

Giustiniano, particolare. VI secolo. Chiesa di S. Vitale, Ravenna

Le tecniche utilizzate erano lo sbalzo e il cesello e la filigrana. Molto adoperato era l’opus interrasile o traforo. Era preferita la lamina sottile, più elegante, al materiale massiccio. Le pietre erano solitamente tagliate a cabochon.
Dalle tradizioni ereditate dalle varie civiltà facenti parte l’Impero, si svilupparono due stili differenti: da una parte uno stile classico di eredità greco-romana che incarnava l’eleganza formale, dall’altra uno più astratto e compatto, derivante dalle forme bidimensionali dell’Asia anteriore e dell’Estremo Oriente. I due stili coesistettero e si strutturarono in nuove configurazioni.

Teodora, particolare. VI secolo. Chiesa di S. Vitale, Ravenna

Teodora, particolare. VI secolo. Chiesa di S. Vitale, Ravenna

Lo stile era prevalentemente cromatico, ottenuto con l’applicazione di smalti e del niello, e accostando diverse sfumature d’oro. I vari colori dell’oro erano ottenuti variando i componenti delle leghe.
L’epoca bizantina fu un età nel quale il costume che riprendeva le fogge romane, si distingueva per lo sfarzo e la ricchezza dei decori. Ma l’opulenza di questi ornamenti doveva rispettare determinate norme. Infatti erano regolamentate durante il periodo di Giustiniano il modo in cui vesti, ornamenti e gioielli potessero essere utilizzati, indossati e acquistati. Tramite il Codex Iustinianus, una raccolta di costituzioni imperiali, Giustiniano amministrò l’uso e le limitazioni di abiti, gioielli, fogge e colori.
I tessuti, come anche i materiali, purpurei ad esempio, erano molto costosi ad appannaggio esclusivo dell’imperatore e della sua famiglia.
Esclusivamente imperiale era anche la triade cromatica: blu, bianco e verde ottenuta da zaffiri, perle e smeraldi.

Cattedra di Massimiano - avorio intagliato, VI sec. - Ravenna, Museo Arcivescovile

Cattedra di Massimiano – avorio intagliato, VI sec. – Ravenna, Museo Arcivescovile

Si può vedere nei già citati mosaici di Ravenna il lusso di cui disponeva l’Imperatore Giustiniano e la moglie Teodora.
I gioielli dell’Imperatore comprendevano una corona a cerchio, decorata con perle e pietre poste su file orizzontali, da cui scendevano pendenti terminanti con perle. Il manto purpureo era fermato da una fibula in oro con pietre e perle. Ancora più ricercato erano i decori di Teodora. Dal ricco ed elaborato diadema in oro, ornato con pietre preziose e lunghissimi fili di perle ai grandi orecchini pendenti in oro, perle, smeraldi e zaffiri. L’abito era ulteriormente abbellito con un colletto di stoffa ricamato in oro, perle e pietre e fermato da 3 grandi spille in oro, smeraldi e rubini.

Oltre alla elevata qualità di fattura dei gioielli, anche altri oggetti e ambienti specialmente quelli liturgici erano diventati segni della bravura artistica dei bizantini.
Di squisitissima fattura è la cattedra vescovile di Massimiano. La struttura del trono episcopale è in legno e ricoperta di placchette in avorio incise, presumibilmente realizzato a Costantinopoli per il primo arcivescovo di Ravenna, Massimiano. Le placchette raffigurano alcuni episodi della vita di Gesù e alcuni della vita di Giuseppe.

Autore: Giulia Antonaz

Photo credits: ilpalazzodisichelgaita.wordpress.com, www.carolinebanks.co.uk, www.flickr.com, it.wikipedia.org

Gli etruschi e la nascita dello stile italico

1 Mar

Nessun popolo come quello etrusco, ha affascianato a lungo gli studiosi sulla sua misteriosa origine.

Collana etrusca in oro, risalente alla seconda metà del IV secolo a.C.

Collana etrusca in oro, risalente alla seconda metà del IV secolo a.C.

Varie teorie sono state avanzate sulla nascita di questa cultura. Dioniso di Alicarnasso, storico greco di età augustea, considerava gli etruschi i discendenti di quei “popoli del mare” che provenivano dall’Europa orientale e dall’Asia e si diffusero nel Mediterraneo alla fine del II millennio a.C. Erodoto, invece, ritiene che queste genti siano emigrati dall’Asia Minore, in seguito a una lunga carestia. Un’altra ipotesi sostiene la discesa di questa popolazione dalle regioni alpine verso l’Italia centrale.

Queste teorie hanno elementi piuttosto contrastanti, e ancora oggi non si è trovata una vera e propria rivelazione sulla nascita di questo popolo che resta tuttora un intrigante mistero.

Se le origini rappresentano un enigma, gli studiosi sono riusciti a ricostruire la storia del loro sviluppo e formazione sul territorio. Gli etruschi si stabilirono nella zona tra l’Arno e il Tevere, un ambiente contraddistinto da un ampia ricchezza mineraria ed agricola, che seppero abilmente sfruttare. Fondarono la loro economia sull’agricoltura e sul commercio, specialmente quello dei metalli.

Fibula d'oro a disco decorata con la tecnica a sbalzo e a granulazione, dal corredo della principessa Larthi, da Cerveteri, tomba Regolini-Galassi, 650 a.C.

Fibula d’oro a disco decorata con la tecnica a sbalzo e a granulazione

Grazie alla collocazione geografica gli etruschi vennero influenzati artisticamente dai popoli vicini, che porteranno alla distinzione di tre periodi: il periodo orientale tra il VII e V secolo; il periodo classico dal V al IV secolo e il periodo ellenistico compreso tra IV e III secolo a.C. Le conseguenze di queste influenze non si possono considerare dirette, ma sono sempre mediate. Gli etruschi reagirono a questi influssi, creando un loro stile particolare.

Nell’arte etrusca, motivi molto apprezzati e utilizzati potevano essere: uccelli in volo, sfingi, scimmie, leoni, felini, animali fantastici, immagini della Potnia Theròn (la Signora degli animali), insieme a riempitivi e arabeschi fitomorfi. Testimonianze dell’arte etrusca si trovano soprattutto negli ambienti sepolcrali. Speciali testimonianze sono i corredi che si sono trovati all’interno di tombe come la Regolini-Galassi a Cerveteri o la Barberini e Bernardini a Palestrina.

Gli etruschi,infatti, divennero artigiani abilissimi e raffinatissimi nella lavorazione dei metalli specialmente l’oro, creando gioielli di altissimo pregio e gusto. Tecniche già conosciute vengono portate ad un livello superiore di perfezione: sbalzo, filigrana, granulazione permettono di creare gioielli con un’abilità e un’arte mai eguagliate neppure nei tempi moderni. La minuziosità degli artigiani, ad esempio, porta a raffinare la granulazione, tecnica che consisteva nel saldare piccole sfere d’oro ad una lamina secondo schemi precisi, utilizzando sferette ancora più minuscole prendendo il nome di granulazione a pulviscolo.

Affibbiaglio d'oro

Affibbiaglio d’oro

I principali prodotti dell’oreficeria etrusca furono: fibule che fungevano da spille, collane decorati con pasta vitrea, ambra e perle, braccialetti a fascia o dalla forma serpentina, anelli, orecchini a baule o pendenti.
La quantità e la qualità degli ornamenti, sia maschili che femminili, evidenziavano la grande importanza che ebbero gli accessori nel costume etrusco e nell’abbellimento del corpo.

L’abilità, l’eleganza e la raffinatezza dei gioielli etruschi diedero grande fama alla popolazione tra i loro contemporanei e suscitarono grande ammirazione anche nei loro posteri.

Autore: Giulia Antonaz

Photo credits: antika.it, candidooperti.it, archeopalestrina.it

Il tesoro di Bactrian e il mix tra le culture persiana, ellenistica e indiana

28 Feb
Alessandro come Ares e Rossane come Afrodite, affresco da Pompei, 60 d.C. circa, Antiquarium (immagine da http://www.engramma.it/)

Alessandro come Ares e Rossane come Afrodite, affresco da Pompei, 60 d.C. circa, Antiquarium

Come protetto dagli spiriti guida del grande condottiero macedone Alessandro Magno e di sua moglie Rossane, il tesoro di Bactrian giunge miracolosamente a noi, sopravvivendo all’invasione sovietica in Afghanistan come alla guerra civile e al regime dei talebani.

Il ritrovamento del tesoro, avvenuto nel 1978 a opera di una missione archeologica sovietica capitanata da Victor Sarianidi, resta una delle più importanti missioni archeologiche di tutti i tempi. Questa meraviglia, rinvenuta in sei tombe nel villaggio di Shibergan in Afghanistan, risale a duemila anni fa ed è composta da più di ventimila oggetti (quasi tutti in oro). Parliamo del corredo funerario appartenente alla popolazione di alto rango dei nomadi Khusan, provenienti dalla Cina, che intorno all’epoca della nascita di Cristo crearono il loro regno laddove oggi è il nord dell’Afganistan, crocevia delle tre antiche culture persiana, ellenistica e indiana, di cui Bactria, città natia di Rossane, rappresenta la sintesi.

Le origini del regno greco-battriano risalgono all’incirca al 255 a.C., quando Diodoto I, satrapo di Battria, conquista l’indipendenza dai Seleuciti (dinastia ellenistica seguita alla morte di Alessandro Magno sui suoi domini) e arriva fino in Sogdiana (Persia). I greco battriani furono così potenti da espandere il loro territorio fino all’India, spingendo il loro dominio ancora più lontano dello stesso Alessandro, come racconta lo storico greco Apollodoro di Artemita (130 – 87 secolo a.C. circa). Dopo una potente ascesa, l’impero greco battriano subisce una serie di disfatte, l’ultima da parte del popolo dei Kushan, che conquistano Bactria verso il 126 secolo a.C., decretando la fine dell’Impero.

La nascita e l’emergere di questo popolo, di stampo così fortemente ellenistico ma distante migliaia di chilometri dalla Grecia, resta un fenomeno misterioso e affascinante del passato che ci ha lasciato uno stile artistico costituito da una miscela di elementi orientali e occidentali e conosciuto come la cultura Gandhara, sviluppatasi fra gli attuali Afghanistan e Pakistan dal 1 al 6 secolo d.C.. Questo stille è caratterizzato dalla rappresentazione di temi religiosi di derivazione buddista con vesti tipiche della cultura greca o affiancati a temi mitologici greci, creando una singolare commistione tra suggestioni d’Oriente e d’Occidente.

Vajra Mudra, Tokyo National Museum (immagine da en:user:PHG)

Vajra Mudra, Tokyo National Museum

Il tesoro di Bactian si compone di sandali d’oro, statuette d’oro di divinità, elaborati bracciali, diademi; la particolarità di questi oggetti è che, pur essendo preziosi e magniloquenti nella migliore tradizione dei re e delle grandi divinità, sono “pieghevoli”. La peculiarità era motivata dalla necessità di un popolo nomade di piegare e infilare nella tasca della sella del cavallo ogni ornamento, in modo da poterlo avere sempre con se, in tutti i necessari spostamenti.

Ciò che rende il tesoro di Bactrian ancora più unico, oltre al fascino esotico delle origini della stirpe di  provenienza, è la serie di avventure rocambolesche a cui è sopravvissuto: al tempo degli scavi, in Afghanistan c’erano le truppe sovietiche, che presero in consegna i reperti e li depositarono nel museo di Kabul, dove rimasero quasi dimenticati sino al 1982. Nel 1989 il tesoro fu segretamente nascosto dalla banca afgana e grazie alla fortunata intuizione di un funzionario che pensò di rompere la falsa chiave all’interno della serratura della porta blindata che conteneva i reperti, bloccandone in tal modo l’apertura, fortunatamente sfuggì ai saccheggi che, a partire dal 1996, subirono il museo e la banca centrale per mano dei talebani.

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Corona e cintura appartenenti al tesoro di Bactrian, I sec. d. C. (immagini da http://1.bp.blogspot.com/)

Corona e cintura appartenenti al tesoro di Bactrian, I sec. d. C.

Nel 2001, allo scoppio della guerra tra gli USA e l’Afghanistan, il tesoro si pensava ancora trafugato e disperso, fino a essere infine ritrovato nel 2003 del tutto integro, per essere ammirato in tutto il suo splendore.

Autore: Lara De Lena

photo credit: www.engramma.it; oldgoths.blogspot.comwww.pinterest.com

I FENICI E LA DIFFUSIONE DEI GIOIELLI IN VETRO

24 Feb
Collana in pasta vitrea dal museo archeologico di Cagliari

Collana in pasta vitrea dal museo archeologico di Cagliari

Secondo una leggenda tramandata da Gaio Plinio II detto “ Plinio il Vecchio” nel volume XXXVI del suo trattato Naturalis Historia (77 a.C.), gli scopritori del vetro sarebbero i Fenici. Si crede, infatti, che nella prima metà del secondo millennio alcuni mercanti di nitro, approdati sulla spiaggia presso la quale il fiume Belo si tuffa nelle acque del mare,  avessero disposto alcuni blocchi di salnitro per tenere sollevati i pentoloni da porre sul fuoco. Lasciati a bruciare per tutta la notte, avrebbero rivelato, la mattina seguente, una nuova materia brillante e trasparente al posto della sabbia. Questa, dunque, sarebbe stata l’origine del vetro, presto screditata da autori più recenti convinti dell’impossibilità di fusione a temperature così basse.

In verità i reperti archeologici dimostrano che il vetro era già conosciuto ed utilizzato prima dei Fenici, durante l’età del bronzo, tra il 3500 a.C. e il 1200 a.C.

In Medio Oriente, infatti, sono stati ritrovati i più antichi reperti vitrei lungo un’area geografica che va dal bacino mesopotamico all’Egitto. Sono tutti oggetti piccoli come perline, sigilli e anelli indicativi del fatto che, probabilmente, le più antiche tecniche di lavorazione non consentivano la produzione di grandi manufatti. Il vetro, inoltre, era considerato molto raro  poiché ottenerlo non era affatto semplice, tanto che si credeva potesse esistere un unico luogo deputato alla produzione di questo materiale così speciale e che questo fosse proprio quella famosa spiaggia, sopra citata, in cui il letto del fiume Belo veniva rimescolato dalle acque salate del mare che trasformavano i granelli di sabbia in frammenti particolarmente lucenti. Anche se si tratta solamente di una leggenda, non si può negare che le sabbie del Belo fossero notevolmente adatte alla produzione del vetro: la silice contenuta in esse, infatti,  ben si combinava con la soda alcalina ricavata anticamente dalle ceneri delle alghe.

Inventori del vetro, oppure no, i fenici ne furono sicuramente grandi esportatori: eccellenti mercanti, navigatori e guerrieri, avevano già fondato alla fine dell’VIII secolo varie colonie sulle coste del Mediterraneo (specialmente in Sardegna e Sicilia) presso le quali diffusero la loro vasta e preziosa produzione di monili in oro, avorio, ambra e, naturalmente, vetro.

L’artigianato fenicio era di altissima qualità: gli artisti padroneggiavano con eguale maestria le tecniche dello sbalzo, della fusione, della granulazione, della filigrana e dell’incisione, secondo una tradizione orafa che si sviluppò almeno dal II millennio a.C. in poi nell’area siro-palestinese.

La volontà di esportare i  loro gioielli e la loro cultura fece sì che venisse a formarsi una vera e propria industria, una produzione in serie di raffinati gioielli e pregiati tessuti rosso porpora, tinti con un pigmento di colore intenso prelevato dal murice comune.

Le fonti scritte sulla civiltà fenicia scarseggiano, nei centri urbani non sono stati trovati molti resti di costruzioni ed architetture, ma i gioielli riportati alla luce dagli scavi, specialmente da quelli di Tharros, in Sardegna, rappresentano una preziosa testimonianza. Da essi si evince la perizia nella lavorazione dei metalli, con precisa granulazione, filigrana e sbalzo, delle paste vitree e delle pietre dure (ametiste, corniole, cristalli di rocca e turchesi in particolare). Lo stile risente molto dell’influenza egiziana infatti sono stati ritrovati numerosi bracciali ed anelli con scarabei o castoni fissi e mobili con funzione di sigillo,  diversi pendenti raffiguranti il dio-falcone Horo o la croce ansata della dea Tanit, ma anche medaglioni con funzione di amuleto, indossati per annullare o prevenire il malocchio, come antidoto contro il veleno o come semplice simbolo di protezione. Molto diffusi, in tutta l’area mediterranea, erano gli orecchini con pendente “a cestello” che probabilmente rappresenta il cesto colmo, simbolo di abbondanza.

Oltre a questi esemplari in metallo prezioso, sono state ritrovate parecchie collane in pasta vitrea con pendenti a forma di testa umana con resa tridimensionale. Molto diffuse erano anche le perle in vetro con decorazione “a pettine” ma soprattutto quelle “ad occhio”, di diverse forme e colori, che ebbero una produzione incessante fino al periodo islamico e bizantino e si ottenevano, probabilmente, con il metodo “a fornace”, che consisteva nel prelevare il vetro fuso necessario alla realizzazione di una perla direttamente dal crogiolo mediante un’asta di ferro.

Facilmente sorge, a questo punto, il confronto con una produzione vetraria decisamente più recente: quella veneziana dell’isola di Murano. Le perle lavorate “a lume”, ossia avvolgendo il vetro sciolto attorno ad un filo di rame o di ferro rivestito di materiale inalterabile, che vanno a completare o a comporre collane e bracciali, sono davvero simili alle perle fenicie poiché anch’esse, che siano arricchite da pagliuzze metalliche o da altri frammenti vitrei di diverso colore aggiunti alla pallina iniziale, ricordano davvero i molti occhi e oblò delle antiche perle.

Autore: Silvia Marcassa